La parodia inscenata davanti all’iconostasi della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca dalle tre punk-femministe del gruppo Pussy Riot è stata un atto provocatorio, aggressivo e blasfemo. Ciò deve essere ben chiaro. E dispiace che invece non sia chiaro a tanti, e purtroppo nemmeno ad Avvenire che venerdì scorso in un titolo parlava di protesta blasfema tra virgolette. Quella che le tre avevano inscenato nella cattedrale di Cristo Salvatore era una protesta blasfema e basta.
Poi si può discutere sull’entità della pena loro irrogata dal tribunale di Mosca che le ha processate. E concludere, com anche noi concludiamo, che si tratta di una pena eccessiva; ma senza buttare via il proverbiale bambino insieme all’ acqua sporca.
Tutt’altra cosa invece è pretendere che si sia trattato di un nobile gesto e che perciò sanzionandolo le autorità russe si siano rese colpevoli di violazione della “libertà di espressione”.
Ancora una volta c’è da domandarsi come i circoli degli intellettuali e della gente di spettacolo “liberal”, che adesso in tutto il mondo si stanno stracciando le vesti per tale condanna, avrebbero reagito se le tre avessero tentato la stessa impresa in una grande moschea di Riad oppure dentro il museo dell’Olocausto a Gerusalemme (di certo non semplicemente cavandosela con un semplice arresto seguito da un regolare processo).
Non so. Potrei essere d’accordo sul “provocatorio” e, forse, anche “aggressivo”. Sul “blasfemo” avrei qualche dubbio. Il nocciolo della blasfemia quale sarebbe? Forse che le accusate hanno pregato la Vergine Maria di liberare la Russia da Putin? O forse l’azione pubblica e la vita privata del potente russo è un esempio di santità?