Adriano Olivetti: l’azione politica e l’opera culturale *
Giornale del Popolo, Lugano, 12 aprile 2014
Nato da padre ebreo e madre protestante valdese, e convertitosi alla fede cristiana cattolica in età adulta, oltre che grande imprenditore, pensatore sociale e promotore di interessanti esperienze innovative in tema di relazioni tra capitale e lavoro, Adriano Olivetti (1901-1960) fu una figura di primo piano della penultima delle stagioni, sin qui tutte sfortunate, in cui si tentò la trasformazione dello Stato italiano nel segno del federalismo e della sussidiarietà. Tra il 1943 e il 1945, mentre la Seconda guerra mondiale stava finendo, ci fu in Italia chi pensò che il nuovo Stato democratico dovesse appunto essere fondato sulle autonomie. Tra questi Adriano Olivetti, che nel 1945 pubblica in proposito un volume dal titolo L’ordine politico delle Comunità, nel quale illustra una sua proposta di riforma federalista dello Stato italiano. Alla base di questo suo progetto c’erano appunto le “Comunità”: delle unità territoriali che, come il suo natìo Canavese (l’area prealpina alle porte della Val d’Aosta il cui centro principale è Ivrea), fossero grandi ed economicamente vitali quanto basta per garantire da un lato l’efficienza dei servizi pubblici, ma dall’altro piccole quanto basta per garantire un effettivo controllo politico diretto delle istituzioni da parte dei loro abitanti. Nel 1948 fonda per questo a Torino un nuovo soggetto politico, il Movimento Comunità, nel cui programma si ritrovavano elementi di pensiero per un verso socialista non-marxista e per l’altro social-liberale. Con questa iniziativa Olivetti mirava a portare alla Camera dei Deputati almeno una trentina di parlamentari: quanti valutava ne sarebbero bastati per fare da “ago della bilancia” fra la coalizione di centro guidata dalla Democrazia Cristiana, Dc, e la coalizione di sinistra guida dal Partito Comunista, Pci. E in tale ruolo condizionare i due schieramenti impegnandoli in tutta la misura del possibile in un progetto di riforma dello Stato italiano ispirata al programma del Movimento Comunità.
Niente di più… disturbante in quegli anni di “Guerra fredda” in cui l’Italia si trovava tra l’altro in una posizione particolarmente delicata dal momento che la linea di demarcazione fra le due aree di influenza americana e sovietica correva addirittura all’interno del Paese, con la Democrazia Cristiana schierata con Washington e il Partito Comunista schierato con Mosca impegnati in un complesso gioco in cui s’intrecciavano momenti di dura contrapposizione e momenti di occulta alleanza. In modo silenzioso ma efficace Dc e Pci si adoperarono perciò concordemente per togliere spazio all’iniziativa di Olivetti. Venuto il momento delle elezioni, il Movimento Comunità riuscì a mandare in Parlamento un solo deputato, ossia lo stesso Adriano Olivetti. Fallito dunque il tentativo di un’ immediata attuazione del suo progetto politico, da partito il Movimento si trasformò sempre più in centro di riflessione e di animazione politico-culturale. In questa prospettiva acquistò tra l’altro particolare importanza la sua casa editrice, Le Edizioni di Comunità. In un’epoca nella quale l’influsso del marxismo sulla cultura italiana era fortissimo alle Edizioni di Comunità si deve la pubblicazione di opere di autori “non autorizzati” dagli intellettuali vicini al Pci, e che perciò Einaudi, Mondadori, Rizzoli, Garzanti e le altre maggiori case editrici italiane del tempo o non pubblicavano, o dei quali non pubblicavano le opere fondamentali. Tra questi: Søren Kierkegaard, Albert Schweitzer, Paul Claudel, Jacques Maritain, Martin Buber, Nikolaj Berdjaev, Thomas S. Eliot, John Kenneth Galbraith, Joseph Schumpeter e Lewis Mumford, Max Weber, Simone Weil. Bastano questi nomi a dare un’idea di quanto abbia contato la presenza di Adriano Olivetti nell’Italia degli anni della “Guerra fredda” anche al di là del fallimento del suo progetto politico.
*Scheda originariamente pubblicata a margine di un’intervista alla figlia di Adriano Olivetti.
l’italia passa da un sovrintendente degli americani all’altro. prima era de gasperi, poi de benedetti.