Una donna al Quirinale? L’ipotesi Marta Cartabia

Taccuino Italiano, Giornale del Popolo, Lugano, 28 gennaio 2015

Le votazioni per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica Italiana inizieranno a Roma domani. Le prime tre, in cui verrebbe eletto soltanto chi raggiungesse la maggioranza dei due terzi dei voti, sono perciò destinate a finire nel nulla. Nessun candidato infatti potrebbe oggi ottenere un consenso tanto ampio. Dalla quarta votazione in avanti invece basta la maggioranza assoluta. Il premier Renzi punta a che le prime tre abbiano luogo tutte quante nella giornata di domani in modo che sabato si possa eleggere subito il candidato scelto concordemente da lui stesso e da Berlusconi. Il Presidente della Repubblica, vale forse la pena di ricordarlo, viene eletto in Italia da un’assemblea di grandi elettori convocata ad hoc. Tale assemblea è composta da senatori, deputati e rappresentanti delle Regioni (tre per ciascuna salvo la Valle d’Aosta che ne ha uno solo), in tutto poco più di mille persone. Se però andrà in porto la riforma costituzionale di forte matrice centralistica che Renzi sta portando avanti in Parlamento sarà questa l’ultima volta dei delegati regionali. L’altro ieri infatti la Camera abrogando il terzo comma dell’art. 83 della Costituzione li ha perciò eliminati.

Nell’impossibilità di giungere alla maggioranza dei due terzi, in passato i partiti usavano nelle prime tre votazioni votare “candidati di bandiera” per puntare poi a candidati reali soltanto dalla quarta votazione in avanti. Questa volta invece l’idea di Renzi è che la maggioranza voti  scheda bianca nelle prime tre votazioni; e poi dalla quarta converga immediatamente sul “nome secco” proposto da lui d’intesa con Berlusconi. I nemici del “patto del Nazareno” (dal nome del palazzo in cui venne siglato), in forza del quale Berlusconi e Renzi sono alleati per quanto concerne l’elezione del nuovo Presidente e la nuova legge elettorale, stanno cercando invece di rompere l’incanto votando un loro candidato. Si fa per questo il nome di Romano Prodi, su cui convergerebbero il SEL di Nichi Vendola e minoranze interne da un lato del Pd e dall’altro di Forza Italia: una coalizione come si vede quanto mai eterogenea, unita solo dalla comune insofferenza per il suddetto patto. Sarebbe anche in certo modo una risposta al colpo che Renzi diede a Prodi il 19 aprile 2013 quando senza dirlo 101 grandi elettori del centrosinistra  non lo votarono affondando la sua elezione a Presidente della Repubblica e aprendo la via alla riconferma di Giorgio Napolitano. Per quanto strano ciò possa sembrare infatti alle elezioni presidenziali italiane il voto dei grandi elettori è segreto.  Parlando ai vertici del suo partito Renzi, ben consapevole del peso dell’opposizione interna, con il suo consueto stile ha detto tra l’altro di “non scommettere sulla vostra fedeltà, ma sulla vostra intelligenza”. E’ però possibile che, anche a costo passare per scemi ai suoi occhi, parecchi grandi elettori del Pd non voteranno come lui vorrebbe.

Chi sarà comunque il “nome secco” che Renzi e Berlusconi tireranno fuori alla quarta votazione? Non lo sa nessuno. In un Paese in cui basta porre il segreto su una cosa perché in un attimo tutti  vengano a saperla di questo “nome secco” non si sa nulla. E’ una novità nel medesimo tempo molto buona e molto cattiva. E’ molto buona perché dimostra che anche in Italia la riservatezza è possibile. E’ però anche molto cattiva perché la dice lunga sul carattere elitario della democrazia italiana. In un paese di democrazia più radicata il popolo, l’opinione pubblica, i giornali sarebbero insorti esigendo un dibattito aperto e pubblico su una scelta di tanta importanza. In Italia invece un premier può dire – raccogliendo perciò grande apprezzamento — che tirerà fuori un “nome secco” (ovvero senza alcuna alternativa) venerdì sera o sabato mattina con l’obiettivo di vederlo definitivamente votato entro sabato sera. Chi sarà costui, oppure chi sarà costei? A proposito dell’eventualità che sia eletta una donna Renzi ha fatto questa sibillina affermazione: “E’un’anomalia che non ce ne sia mai stata una, ma non è dirimente, non so se ci sarà lo spazio, verificheremo”. In effetti puntare a una donna sarebbe il modo più semplice per tagliar fuori i “soliti noti”, che sono appunto tutti quanti uomini. O meglio tutti uomini salvo Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd in Senato, che però è comunque improponibile dopo tre presidenti della Repubblica tutti di centro-sinistra, e soprattutto dopo la presidenza durata nove anni del suo compagno di partito Giorgio Napolitano. Se dunque Renzi e Berlusconi dovessero decidere di far saltare il tavolo puntando a una donna, un nome in ottima posizione, anche se sconosciuto ai più, è quello di Marta Cartabia, vicepresidente della Corte Costituzionale di cui è membro per nomina di Giorgio Napolitano. Cattolica ma non molto pubblicamente schierata in quanto tale, lombarda, professore ordinario di diritto costituzionale con un curriculum di tutto rispetto, Marta Cartabia gode della massima fiducia di Napolitano alla cui presidenza potrebbe in certo modo dare continuità. Sarebbe un’assoluta sorpresa per il proverbiale uomo della strada, ma non per gli altrettanto proverbiali addetti ai lavori. A patto, beninteso, che nel chiuso del Patto del Nazareno si scelga di giocare — “se ci sarà spazio” come dice Renzi — la carta del “nome secco” al femminile.

 

 

 

Informazioni su Robi Ronza

Giornalista e scrittore italiano, esperto di affari internazionali, di problemi istituzionali, e di culture e identità locali.
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