L’Ue si sgretola, ma la sua élite non ha capito il perché, La Nuova Bussola Quotidiana, 9 marzo 2017
Al di là di tutte le cause tecniche immediate che si possono indicare l’Unione Europea si sta sgretolando per motivi non tecnici bensì prettamente politici e prima ancora filosofici: perché non ha né anima né la legittimazione democratica. Se la si vuol salvare, e ne può valere la pena, occorre però rifondarla dalle radici. Viceversa il blocco di potere neo-autoritario che si è formato attorno all’ “Europa” non demorde dai suoi tentativi di salvarla con lavori di aggiustamento che in effetti sono soltanto uno spreco di tempo e di energie. Invece di cogliere la circostanza come una buona occasione per un salutare “esame di coscienza”, l’ordine costituito sta puntando a celebrare l’ormai imminente 60° anniversario dei trattati di Roma con riforme di facciata orientate al gattopardesco principio del “cambiare tutto per non cambiare nulla”. Rientra a pieno titolo in questa prospettiva il recente incontro a Versailles dei capi di governo di Francia, Germania, Italia e Spagna. Incuranti delle lezioni della storia, i quattro leader si sono riuniti nella reggia del Re Sole, vertice dell’assolutismo, e più tardi sede delle trattative di pace che conclusero la Prima guerra mondiale mettendo i semi della Seconda, per lanciare l’idea di un direttorio a quattro tramite cui prendere il comando dell’Unione. In effetto un direttorio a uno, la Germania, con gli altri tre nel ruolo della foglia di fico. Padrone di casa il presidente francese François Hollande, ormai a fine mandato e travolto da un’impopolarità tale da avergli suggerito di non ricandidarsi. Secondo Hollande – il quale sogna di tornare poi in scena sostituendo Donald Tusk nella carica di presidente del Consiglio Europeo — Parigi, Berlino, Roma e Madrid hanno “la responsabilità di tracciare la strada non per imporla agli altri” ma per essere una forza al servizio della crescita dell’Europa. E per tracciarla liberamente (a modo loro) lanciano l’idea di un’ “Europa a due velocità”, composta di un nucleo di Stati, Italia inclusa, che vanno avanti al passo fissato dalla Germania, e degli altri cui è concesso di rincorrerli quando e come possono. Il tutto condito con la nobile idea che si debba andare avanti sulla via dell’integrazione, ma lasciando a ogni Paese la libertà di avanzare al suo ritmo.
Nella conferenza stampa conclusiva dell’incontro di Versailles il premier italiano Gentiloni ha promesso che dalla celebrazione del 60° anniversario dei trattati di Roma verrà l’impegno a far ripartire l’Unione dal popolo europeo. O si è espresso male o dentro di lui si nasconde un indomito ribelle della cui esistenza non si aveva sin qui avuto il minimo sospetto. Il popolo europeo è sempre stato il grande assente dalla scena politica dell’Europa, e tanto più lo è adesso.
Il Parlamento non è un vero organo legislativo e di controllo politico, ma ha più che altro funzioni consultive e di ratifica. Il governo dell’Unione è bicipite essendo formato da due organi in concorrenza tra loro, il Consiglio dei capi di Stato e di governo da una parte e la Commissione dall’altra, entrambi né legittimati dal voto popolare, né sottoposti a un effettivo controllo parlamentare. Quest’ultima è poi nelle mani di una burocrazia forte e incontrollata che fa un lavoro continuo di aggiramento dei limiti delle sue competenze giocando con destrezza nel farraginoso groviglio dei trattati: circa 400 pagine di testi che, in assenza di adeguato controllo politico, aprono la via a qualsiasi ingerenza. Non è poi affatto secondario il fatto che il nichilismo e il relativismo siano la cultura di gran lunga dominante di questa burocrazia il che ha un evidente influsso sua attività e sui documenti che produce.
Di fronte a questa situazione di crisi generale, invece di porre con coraggio la questione di una riforma radicale dell’Unione nel segno della democrazia e della riscoperta dei suoi valori fondanti, con iniziative come l’incontro di Bruxelles si punta al contrario a giocare tutta e solo la carta della concentrazione del potere sulla base di prossimità politiche vere o presunte, ma in ogni caso temporanee. Altrimenti non si capirebbe perché a Versailles oltre ai tre Stati obiettivamente più popolosi fosse stata invitata solo la Spagna e non anche la Polonia, che ha circa il suo stesso peso demografico ed è inoltre il Paese più importante tra quelli dell’Europa Orientale. Non è per questa via che si può pensare di salvare l’Unione Europea.
Come fa l’Italia a starci dentro col debito pubblico che si ritrova? Come dar torto ai tedeschi che non vogliono pagare per gli altri visto che noi gonzi italiani con la Grecia ci abbiamo rimesso 40 miliardi? Il popolo europeo non esiste perche’ ci sono le nazioni (grazie a dio). Magari a lei della nazione italiana non interessa, ma ad altri si. Consulti Giulio Sapelli su come si potrebbe salvare l’unione europea: ognuno responsabile dei propri bilanci con legge sulla bancarotta.