Ha avuto sin qui pochissima eco nel nostro Paese una notizia probabilmente molto più importante per noi di molto di quello che riempie oggi le prime pagine di giornali e di telegiornali: si tratta dell’annuncio, dato a Cernobbio poche settimane fa all’annuale forum Ambrosetti, che con l’anno prossimo in Francia la pressione fiscale complessiva inizierà a scendere fino a raggiungere il 32 per cento per le imprese e il 30 per la persone fisiche. Contemporaneamente, ha pure annunciato il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, lo Stato in Francia venderà le proprie partecipazioni azionarie in attività industriali ritenute non più strategiche, e con il ricavato finanzierà un grande programma di sostegno all’innovazione tecnologica.
In Francia, come da noi, la pressione fiscale effettiva finora supera il 50 per cento. E’ una pressione iniqua e spesso insostenibile della quale, come i fatti non smettono mai di dimostrare, l’alta evasione o elusione fiscali sono una conseguenza comunque in certa misura irrefrenabile. Semplificando il sistema con un’imposta molto semplice, fissata nella misura che si diceva, lo Stato francese fa la “scommessa” che lo Stato italiano sin qui non ha mai osato fare: quella rendere le imposte più eque e quindi più facilmente esigibili. Combinata con quel grande programma di sostegno all’innovazione di cui si diceva, tale riforma mira a fare di nuovo della Francia un grande polo di attrazione di capitali e di investimenti.
Se la politica in Italia avesse ancora qualche nesso con la realtà la questione dovrebbe essere al centro del dibattito sia dentro che fuori del Parlamento. La Francia non è un Paese piccolo o lontano o scarsamente sviluppato. Fa parte dell’Unione Europea ed è prossimo all’Italia da ogni punto di vista. Nella misura in cui tali riforme si attueranno, sempre più aziende troveranno semplice e conveniente trasferire capitali e investimenti dall’Italia in Francia. Quello che in termini di esodo di investimenti e di posti di lavoro già si registra tra le province di Varese e di Como e la Svizzera, o tra il Friuli e la Slovenia, si verificherà alla scala dell’intera Italia.
Già nel luglio scorso un noto centro di ricerca di orientamento liberale, l’Istituto Bruno Leoni, aveva peraltro elaborato e presentato un progetto di riforma fiscale basato sull’introduzione di un’aliquota fissa pari al 25 per cento del reddito disponibile della famiglia (non del singolo). “Per rispettare il dettato costituzionale della progressività dell’imposta, i primi 7.000 euro non sarebbero tassabili: una cifra che poi aumenterebbe secondo i carichi familiari. Viene inoltre prevista l’abolizione dell’Irap, dell’Imu e della Tasi, e l’introduzione di un’unica tassa sui servizi urbani d’esclusiva competenza municipale e strettamente legata alla fruizione e alla qualità dei servizi offerti.
Forza Italia e la Lega Nord si erano dette a favore, ma la cruciale questione in effetti non è mai realmente entrata nemmeno nella loro agenda. Nel frattempo, come si diceva, la Francia ha già imboccato una strada molto simile. E’ evidente che l’Italia dovrà per forza cercare di fare lo stesso. Come? Quando? Da chi e in base a quali alleanze politiche? Sarebbe il caso di cominciare almeno a pensarci.