Dopo il referendum: la trappola in cui dobbiamo ardentemente sperare che Roberto Maroni non vada a cadere

A pochi giorni dai referendum regionali della scorsa domenica in Lombardia e in Veneto le cose stanno già cominciando a mettersi male. Dalle direzioni centrali di tutti i partiti di ogni orientamento (paradossalmente la Lega Nord compresa) fino al blocco di potere burocratico romano, cui l’attuale governo è devoto per natura, la guerra contro l’eventuale ulteriore autonomia delle due Regioni è già iniziata. Si va da Matteo Salvini, che ne annacqua l’esito dicendo che la sua Lega Nord lancerà l’idea di mettere sulla stessa strada la Puglia, il Molise se non tutte quante le Regioni, al ministro per la Coesione territoriale e per il Mezzogiorno, il romano Claudio De Vincenti,  il quale si affretta a dire  che il potere assoluto dello Stato in materia fiscale (ovvero la chiave di volta del centralismo) non si tocca.

Con una parte del suo territorio racchiuso tra quello di due Regioni a statuto speciale, essendo primo erede di una grande realtà politica plurisecolare come la Repubblica di San Marco, e avendo dalla sua la forte legittimazione di un referendum cui ha partecipato il 60 per cento degli elettori, il presidente veneto Luca Zaia ha perciò potuto rispondere con la richiesta provocatoria  dello statuto speciale. E fa bene a continuare così sulla sua strada.

Diversa è la situazione della Lombardia che né può, né ha bisogno di chiedere lo statuto speciale. Non può perché per le sue dimensioni tanto demografiche quanto economiche diventando de jure a statuto speciale destabilizzerebbe lo Stato italiano in quanto tale. Non ne ha bisogno perché per gli stessi motivi  “a statuto speciale” è già di fatto.

In questo quadro a nostro avviso non conviene alla Lombardia aprire trattative con Roma su tutte le 23 materie, elencate all’art.117, su cui l’art.116 consente alle Regioni di chiedere ulteriori competenze. Per una burocrazia ministeriale inefficiente sul piano della pubblica amministrazione, ma espertissima in quanto a capacità di perdere tempo per tenersi il potere, una trattativa del genere è un invito a nozze.  Auguriamoci dunque che il presidente lombardo Roberto Maroni non caschi in questa trappola. Un negoziato del genere diventerebbe in poco tempo un ginepraio inestricabile e quindi senza fine.

Occorre a nostro avviso prendere le mosse da un negoziato su alcune poche materie cogliendo frattanto l’occasione per aprire la vertenza che Roma vorrebbe tenere chiusa, ossia quella delle imposte. E’ vero, come dice il ministro De Vincenti, che il fisco non rientra tra le 23 competenze di cui all’art. 117. E’ altrettanto vero però che le ulteriori competenze di una regione come la Lombardia non possono non avere riflessi sul sistema fiscale del Paese.  Perciò, piaccia o non piaccia al governo Gentiloni,  il riconoscimento di ulteriori competenze alla Lombardia non può che portare con sé l’attuazione del finora non applicato art.119 della Costituzione ove si stabilisce che “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ ordinamento dell’Unione europea.

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. (…).

Commentando a caldo il risultato del referendum nell’entusiasmo Roberto Maroni aveva annunciato l’avvio della trattativa con Roma su tutte e 23 le materie di cui si diceva. Concludendo ribadiamo il nostro augurio che ci ripensi e  non caschi in questa trappola.

 

Informazioni su Robi Ronza

Giornalista e scrittore italiano, esperto di affari internazionali, di problemi istituzionali, e di culture e identità locali.
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3 risposte a Dopo il referendum: la trappola in cui dobbiamo ardentemente sperare che Roberto Maroni non vada a cadere

  1. senm_webmrs ha detto:

    « Per una burocrazia ministeriale inefficiente sul piano della pubblica amministrazione, ma espertissima in quanto a capacità di perdere tempo per tenersi il potere, una trattativa del genere è un invito a nozze.»
    E infatti Gentiloni lo ha detto chiaramente il giorno dopo o pressappoco. Le parole erano più o meno “sì discuteremo, ma sapete com’è l’amministrazione pubblica…”.
    Se fosse disarmante candore o superlativa faccia di bronzo non saprei.

  2. FrancescoTR ha detto:

    Affluenza al voto del 40%? Significa che il 60% dei lombardi non vuole essere la Catalogna dell’Italia. Maroni e ronza avete perso.

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