La Vandea de “La Stampa” e quella della storia. Cronache di una mistificazione che non conviene a nessuno.

“La rivincita della Vandea” è uno dei titoli più significativi di una doppia pagina che oggi l’autorevole quotidiano torinese La Stampa ha dedicato a un’analisi a modo suo dell’attuale situazione politica. Lo spunto di cronaca è evidente: la doppia pagina firmata da Federico Capurso e da Francesca Paci, dal titolo “Dagli Usa all’Italia l’abbraccio tra sovranisti e delusi dal Papa”, segue ad altre tre dedicate all’esito delle elezioni di ieri in Svezia, nonché a un’ulteriore pagina in cui grande spazio viene concesso a una vicenda sin qui mai molto riecheggiata fuori dell’Austria. La polemica in corso da qualche anno a Vienna attorno al progettato monumento in memoria della storica sconfitta che i turchi ottomani subirono nel 1683 sotto le mura della città. Nel loro insieme (compresa una solenne intervista a Mario Monti) le sei pagine sono un documento molto interessante. Leggendole attentamente si coglie infatti assai bene da una parte come l’ordine costituito sia disorientato di fronte alle profonde trasformazioni in corso sulla scena politica internazionale e non riesca a capirle; e dall’altra in quale modo, non riuscendo perciò a confrontarsi con esse, speri ciononostante di fermarle ad ogni costo, se necessario anche a spese della democrazia.

“Uno spettro, stavolta bianco, si aggira per l’Europa. E’ la rivincita della Vandea sulla lunga egemonia culturale dell’illuminismo repubblicano?”, si domandano i due autori con molta preoccupazione (dal loro punto di vista). Adornata da un’elegante parafrasi dell’inizio del Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx, la domanda è fondata. Per darle un’adeguata risposta, che infatti da La Stampa non viene, occorre però avere chiaro in testa che cosa la Vandea fu nella realtà, e non come la storia ufficiale di solito la racconta. Quella della Vandea fu una rivolta di popolo contro le promesse tradite di un progresso nella libertà che si era subito trasformato in tirannide. Una rivolta che la Francia rivoluzionaria represse con metodi che anticiparono in un solo colpo sia i genocidi e i lager del nazismo che le deportazioni e i gulag dello stalinismo. Fino ad oggi, per nostra buona sorte, siamo ancora ben lontani da una situazione del genere. A priori non si possono tuttavia escludere a lungo termine analoghi sviluppi. Quando infatti si comincia a pretendere che se il popolo non la pensa come l’élite allora bisogna cambiare il popolo, si fa il primo passo su una strada che, se percorsa fino in fondo, arriva appunto là dove si diceva.

Torniamo però al presente, e dunque alla situazione che in precedenti commenti avevamo definito come una sorta di “insorgenza anti-giacobina” in corso alla scala internazionale. Una mobilitazione contro l’ordine costituito politico internazionale, in ultima analisi erede di quell’illuminismo repubblicano di cui scrive La Stampa. A questi “illuministi repubblicani” converrebbe cercare di capire perché la gente comune, perché insomma il popolo, non ne vuol più sapere di loro e del loro modo astratto di pensare e di governare, popolare a parole ma anti-popolare nei fatti. Ne potrebbero magari trarre qualche idea per aggiornare la loro proposta politica. Invece si accontentano di bollare questa nuova realtà con concetti-slogan come “sovranismo” e “populismo” impedendosi così di capire che cosa stia succedendo.

La tesi di fondo della doppia pagina cui si accennava è che sta nascendo una “Alleanza tra populismo e cristianesimo tradizionalista per difendere l’identità religiosa dall’Islam e dalla secolarizzazione. Nell’internazionale anti-multiculturalista la Lega, i quattro Paesi di Višegrad, la Serbia, la Croazia, il Montenegro, l’Austria”. Il testo, cui si rimanda, fa venire in mente quelle collane da spiaggia pseudo-folk fatte di un filo in cui è stato infilato di tutto, dalle castagne secche a qualche pietruzza colorata, dalle conchiglie alle ossa di seppia. Fatti e idee di peso e di significato diversissimi vi vengono infatti messi insieme su base di pregiudizi puramente ideologici.

Proviamo a immaginarci che cosa a suo tempo sarebbe successo se si fosse fatto un solo fascio delle Br, del Pci e del Psi, dei laburisti inglesi e degli Khmer Rossi facendo leva su alcune prossimità dei loro rispettivi linguaggi, e su alcune “icone” (come ad esempio la falce e il martello) che tanto gli uni quanto gli altri brandivano. Giustamente dalle più diverse parti una campagna del genere sarebbe stata condannata come una maldestra e inutile mistificazione. Ebbene, è proprio questo che oggi il fronte progressista tenta all’ombra di feticci come “sovranismo”, “populismo” e così via. E’ un’operazione non solo controproducente per chi la promuove, e che così facendo continuerà a perdere voti. ma anche nefasta per il bene comune. Finisce infatti paradossalmente per accreditare agli occhi degli elettori meno preparati anche presenze sgradite di cui tutti  farebbero ben volentieri a meno.

10 settembre 2018

Informazioni su Robi Ronza

Giornalista e scrittore italiano, esperto di affari internazionali, di problemi istituzionali, e di culture e identità locali.
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