A che cosa serve avere il coltello dalla parte del manico se poi la sua lama è di pasta frolla? E’ questa la domanda che Salvini e di Di Maio dovrebbero cominciare a farsi. Farebbero bene a cominciare a farsela al più presto, e avrebbero fatto meglio a farsela prima.
Dalla cronaca politica di questi giorni emerge chiaramente che i due e i loro partiti sono inermi di fronte all’ offensiva scatenata contro il governo da una potente opposizione extraparlamentare costituita da un vasto blocco di poteri costituiti sia nazionali che stranieri. La parola rimanda nell’ immediato al ricordo del ’68; nel suo esatto significato vale però altrettanto per quanto accade adesso contro l’attuale governo. Anche in questo caso infatti si tratta di un’opposizione che né trova né ricerca una rappresentanza nel Parlamento democraticamente eletto. E’ un’opposizione che si autolegittima su altre basi: richiamandosi ai mercati, all’ Europa, a una presunta indiscutibile competenza economica, e così via.
E’ un offensiva che vede organicamente schierata tutta la vasta gamma di esperti di cui tale opposizione dispone: dagli opinionisti a docenti universitari delle più diverse scienze economiche e sociali giù giù fino ai conduttori televisivi e ai radio-commentatori di ogni cosa. Si tratta, diremo per inciso, di un caso di studio anche affascinante per chi si occupa di scienze della comunicazione. A parte questo, ciò che soprattutto colpisce è l’incapacità dell’attuale maggioranza di governo di dare adeguate risposte anche a tali livelli. All’ uscita dal proverbiale Palazzo ( si tratti di Palazzo Chigi o di Montecitorio) Salvini e Di Maio trovano sempre l’accoglienza entusiastica di una piccola ma vociante folla di sostenitori. Per soddisfare le loro aspettative i due avrebbero però bisogno anche di attrezzarsi per reggere all’ offensiva di cui si diceva. E non lo stanno facendo.
Per parte nostra abbiamo dei forti dubbi sull’ opportunità del “reddito di cittadinanza” in quanto tale. In ogni caso tuttavia non può funzionare se non nel quadro di una qualità complessiva della pubblica amministrazione e della formazione professionale che purtroppo in Italia non è la norma bensì una circostanza eccezionale (che per di più si riscontra quasi solo nelle regioni ove meno c’è bisogno di una simile provvidenza). Per rimediare a questa lacuna non basta di certo la gita a Berlino che Di Maio ha fatto l’altro giorno per vedere come i centri per l’impiego funzionano in Germania. Preliminarmente occorre una riforma di tutto il sistema.
Abbiamo per parte nostra molta più speranza nelle misure di politica economica che stanno a cuore alla Lega, ma anche qui vale lo stesso discorso. Senza previe riforme di sistema non possono funzionare. Sia nell’ un caso che nell’ altro la lama del coltello di cui si diceva resta di pasta frolla. Sarebbe meglio se almeno per un anno il governo si impegnasse a testa bassa su tali riforme tattiche prima di premere sull’ acceleratore delle riforme strategiche che ha in programma. Di Maio e Salvini sanno farsi capire dalla gente comune. Sarebbero perciò in grado di conservare il vasto consenso popolare di cui dispongono anche per tutta la fase preliminare che s’impone.