Diventa sempre più chiara la natura prettamente politica della pretesa neo-autoritaria di imporre come indiscutibile la tesi dell’origine antropica dell’attuale cambiamento climatico. Non è invece facile capire quanti e quali potenti gruppi di pressione siano impegnati in tal senso. Non è facile e nemmeno importa molto. Senza perdere tempo né a scandalizzarsi né a disperarsi, occorre semplicemente prenderne atto e trarne le dovute conseguenze.
Della potenza e della vastità delle forze e degli interessi schierati in tal senso è fra gli altri evidente conferma il caso recente di un documento sottoscritto da circa 15 mila scienziati, 280 dei quali attivi in Italia. Nel documento — il cui primo firmatario è il professor William Ripple, docente di scienze forestali alla Oregon State University — si spiega ancora una volta come e qualmente tra qualche anno casca il mondo se in pratica non si torna subito a vivere più o meno come si viveva all’inizio del secolo XVIII.
E’ ovvio che un docente di un’università dell’Oregon — silvestre Stato del Nordest degli Usa che non è certo uno dei grandi crocevia della cultura e della ricerca scientifica mondiali — non può riuscire da solo a mettere in moto un’operazione del genere e poi a gestire la campagna promozionale planetaria che su di essa è stata costruita. Accompagnata come è da una rigorosa censura degli argomenti di chi vi è contrario (cfr. ad esempio in questo stesso sito Il pensiero unico, il riscaldamento globale, «la Repubblica» e il coraggio dell’Accademia dei Lincei) episodi del genere non cessano di dimostrare che siamo di fronte a un gigantesco programma di organizzazione del consenso. Che poi il suo obiettivo sia molto più politico che scientifico, e che abbia una matrice neo-autoritaria, emerge chiaramente dal modo con cui viene non proposto bensì imposto come realtà indiscutibile in pieno contrasto con la moderna filosofia della scienza.
Diventa allora interessante capire quale sia il progetto politico alla base di tale programma. Alla ricerca di una risposta sono stato incuriosito dal fatto che la tesi dell’origine antropica degli attuali cambiamenti climatici da un lato prescinda totalmente dalla storia, che registra diverse epoche di riscaldamento del clima della Terra in epoca pre-industriale, e dall’altro sia diventata un po’ in tutto il mondo un cavallo di battaglia della cultura borghese progressista. Ciò significa che si inscrive in orizzonte “giacobino”, ossia in quel filone di pensiero politico che nel secolo appena trascorso sfociò nel marx-leninismo.
Se così stanno le cose — dico ribadendo quanto già affermato in altre occasioni — diventa allora evidente l’obiettivo politico alla base della campagna in corso per imporre come indiscutibile l’origine antropica dei cambiamenti climatici. Se questi sono un fenomeno naturale, seppur eventualmente rafforzato degli effetti dell’attività dell’uomo, allora possono venire affrontati da ogni Paese e da ogni economia in modo autonomo e lato sensu liberale. Se invece sono un fenomeno di origine antropica, che impatta su un bene indivisibile per sua natura come l’atmosfera, allora si può e si deve puntare a un’economia a pianificazione centralizzata alla scala mondiale in cui solo centri di potere giganteschi possono avere voce in capitolo; quindi a un assetto politico in cui la sovranità appartiene non più al popolo, bensì a un’ élite di scienziati. Beninteso, non a tutti gli scienziati ma soltanto a coloro che le cui dottrine giocano a favore dei giganteschi centri di potere di cui si diceva. La posta in gioco è questa.
12 novembre 2019