L’ultima sciocchezza in tema di ambiente trova eco oggi sui giornali e telegiornali più schierati a favore della tesi dell’attuale fase di riscaldamento della Terra come fine del mondo prossima ventura. Si tratta della notizia — diffusa a margine di Cop25, la Conferenza dell’Onu sul clima attualmente in corso a Madrid — secondo cui negli ultimi vent’anni in Italia quasi 20 mila persone (per la precisione 19.947) sarebbero morte, come titola ahimè anche Avvenire, “vittime del cambiamento climatico”. Per poter arrivare a questa cifra si parte dal presupposto che i cambiamenti del clima (immaginati come di esclusiva origine antropica) siano la causa scatenante di qualsiasi frana, smottamento, valanga, mareggiata, alluvione o nubifragio.
Dell’origine in effetti molto probabilmente nient’affatto antropica degli attuali cambiamenti climatici, e viceversa delle ragioni assai più politiche che scientifiche della tesi opposta, ho scritto più volte in precedenza. Senza pertanto tornarvi qui, invito chi voglia saperne di più a raggiungere in questo stesso sito testi reperibili inserendo nel suo motore di ricerca interno locuzioni come «cambiamento climatico» o simili.
Mi interessa invece qui sottolineare come in questa nuova paura collettiva a prima vista così moderna riemergano invece paradossalmente antichi timori panici. Non riconoscendola come opera di un Creatore buono, l’uomo pagano guardava con timore alla natura. Nella misura in cui oggi l’uomo torna di fatto al paganesimo, tornano di nuovo anche quegli antichi timori Vista in tale prospettiva la conferenza dell’Onu sul clima in corso a Madrid appare chiaramente come il solenne rito planetario di quel moderno culto laico del dio Pan che sta ora diventando la nuova “religione di Stato” della globalizzazione.
Come scrissi fra l’altro nelle prime pagine del mio recente Non siamo nel caos / Proposte per uscire dalla crisi, Edizioni Ares 2019, in tale prospettiva mi sembra che l’attualità non cessi di confermare che quella in cui ci troviamo non è una crisi dell’economia ma innanzitutto una crisi della speranza: qualcosa perciò di fronte a cui la politica e l’economia non possono fare niente di decisivo.
La liberazione dalle rinate paure paniche di cui si diceva, e quindi la rinascita della speranza — premessa necessaria fra l’altro alla ripresa dell’economia — è innanzitutto compito di chi per natura sua ne ha i mezzi, ossia le grandi autorità morali. Perciò in primo luogo la Chiesa, pur senza la pretesa di alcuna esclusiva. Abbiamo tutti bisogno che nel suo magistero la Chiesa torni sempre più ad essere Mater et Magistra nel modo proprio ed originale che sarebbe e che deve essere il suo. Come poi attingere a questo magistero principi e criteri da trasformare in efficaci contributi al bene comune civico, quindi alla politica e all’economia, è una responsabilità di chi partecipa specificamente alla vita civile, quindi dei laici. Troppo spesso invece oggi la Chiesa magisteriale tace riguardo a quel che è suo e parla riguardo a ciò che è dei laici. Spesso si attiva così un circolo vizioso, cui sarebbe il caso di porre al più presto rimedio, fatto da un lato di un vuoto di fondamenti e dall’altro di giudizi politico-economici contingenti viziati da parziali se non da cattive informazioni.
5 e 7 dicembre 2019
Errata corrige: nella prima versione di questo testo si diceva — a ulteriore conferma dell’infondatezza della notizia alla base del commento — che nell’elenco degli eventi naturali estremi presi in esame erano inclusi anche i terremoti. In effetti non è così, quindi al riguardo mi correggo ringraziando il lettore che me lo ha fatto presente. Nel Climate Risk Index 2020 del sito tedesco German Watch, prima fonte della notizia, si precisa che le vittime dei terremoti e dei maremoti sono escluse dal conto. Ciò non toglie valore tuttavia alla sostanza del mio ragionamento. E’ comunque non scientifico ma ideologico indicare a priori come diretta e specifica conseguenza di cambiamenti del clima di presunta origine antropica qualunque frana, smottamento, alluvione ecc.