Mediterraneo. Gli Usa, l’agguato a Soleimani, i turchi in Libia, l’Italia e il nocciolo della questione

Prendendo la parola lo scorso 25 settembre a New York all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente Trump aveva fra l’altro ricordato che gli Usa sono oggi il primo produttore di petrolio e di gas naturale del mondo. E avendo speso da quando egli venne eletto “più di due trilioni e mezzo di dollari” per “ricostruire” il loro apparato militare, sono “di gran lunga il Paese più potente del mondo, “by far, the world’s most powerful nation”. D’altra parte lo erano anche prima.

È questo l’orizzonte in cui si situa il clamoroso agguato di cui ieri sono rimasti vittima il generale iraniano Qasem Soleimani, capo delle forze speciali del regime di Teheran, e coloro che erano con lui nel convoglio di auto distrutto da droni americani sulla strada che collega Bagdad al suo aeroporto. Washington si sta ritirando dal Mediterraneo e dal Vicino e Medio Oriente, le cui riserve di idrocarburi non gli sono più necessarie; e nel vuoto strategico che lascia dietro di sé — non colmato da un’Unione Europea sempre più evanescente – germogliano tensioni e conflitti. È una turbolenza che dal suo punto di vista non è poi male, tanto e vero che in fin dei conti la alimenta, ma che non deve andare oltre un certo livello. Quando tale livello viene superato ecco che Washington interviene a dare un colpo di freno con tutta la forza della sua enorme potenza militare, ormai in grado di rispondere con efficacia (diversamente che ai tempi dell’attentato alle Torri Gemelle) anche a sfide di tipo non convenzionale. Scorre sangue,  e di questo non ci si può mai compiacere, ma tale è la superiorità militare americana che non c’è un gran rischio di allargamento del conflitto.

Purtroppo per quel che ci riguarda come italiani e come europei, questa storica svolta in corso nell’area euro-mediterranea è segnata dall’assenza dell’Italia, alle prese con una classe politica che si è autoreclusa nel ristretto cerchio delle sue lotte di palazzo, e dall’assenza dell’Europa, svilita da un’Unione Europea che ormai non solo non la rafforza ma anzi la indebolisce. Tornano così sulla scena del Mediterraneo nientemeno che la Russia e la Turchia in una situazione che per molti versi sembra quasi riecheggiare i decenni a cavallo tra il XIX e il XX secolo: il tempo in cui la Libia era ancora una provincia del crollante Impero Ottomano e la Russia cercava di aprirsi un varco verso l’Oriente al di là dello stretto dei Dardanelli.

Qualche giorno fa scrivevo che nell’anno appena iniziato in Italia si deve soprattutto sperare nella società civile dal momento che ben poco c’è da attendersi dalla politica. A conferma di ciò è venuta ieri la notizia, largamente sottovalutata quando non ignorata dal grosso della stampa, della firma ad Atene dell’accordo per la costruzione del nuovo gasdotto EastMed, destinato a collegare i giacimenti  offshore israeliani con l’Italia. Con un percorso in parte sottomarino e in parte terrestre, dalle acque territoriali di Israele il nuovo gasdotto raggiungerà prima Cipro, poi Creta, quindi la terraferma greca e infine l’Italia. Lungo 1900 chilometri e capace di trasportare fino a 10 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno,  EastMed è frutto di un accordo tra i governi di Israele, di Cipro e della Grecia, ma nasce da un progetto della Edison, la storica società energetica ora franco-italiana con sede a Milano che in larga misura lo finanza. La Edison si è a tale fine alleata con il gruppo Depa, per  così dire l’Eni della Grecia. Si tenga poi conto che l’Eni sta lavorando al progetto di un gasdotto destinato a collegare Cipro con Zhor, il gigantesco giacimento di gas naturale di cui dispone in acque territoriali egiziane  (e del quale abbiamo più volte scritto in questo stesso sito). Tale rete di nuovi gasdotti ha tutti i numeri per diventare il motore di un gigantesco processo di sviluppo condiviso euro-mediterraneo di cui, in quanto grande economia industriale manifatturiera, il nostro Paese sarebbe l’inevitabile perno. Purtroppo non ci si può attendere che nel futuro prevedibile la politica italiana, in tutt’altre faccende affacendata, sostenga e agevoli questi progetti. Speriamo almeno che non li intralci.

3 gennaio 2020

 

 

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Informazioni su Robi Ronza

Giornalista e scrittore italiano, esperto di affari internazionali, di problemi istituzionali, e di culture e identità locali.
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2 risposte a Mediterraneo. Gli Usa, l’agguato a Soleimani, i turchi in Libia, l’Italia e il nocciolo della questione

  1. Gianluigi lassini ha detto:

    Credo che avremo bisogno di un ministro degli esteri degno del suo compito è non di un ragazzotto pieno di sè che fa altro

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