La crisi del Movimento 5 Stelle, Corriere del Ticino*, 4 febbraio 2020
Fondato nel 2009 e in soli dieci anni giunto al governo a Roma, il Movimento 5 Stelle — la principale novità della scena politica italiana di questo inizio secolo — è uscito in macerie dalle votazioni dello scorso 26 gennaio per la scelta dei presidenti e per il rinnovo dei parlamenti regionali dell’Emilia-Romagna e della Calabria.
In Emilia-Romagna il voto ai 5 Stelle si è ridotto di circa un terzo rispetto al 2014, passando dal 13,3 al 4,7 per cento. In Calabria è crollato clamorosamente passando dal 43 al 7 per cento. Sentendo avvicinarsi la tempesta, il 22 gennaio Luigi Di Maio si era tempestivamente dimesso dall’ incarico di capo politico del Movimento. Fino ai loro “Stati generali”, fissati per il prossimo 15 marzo, a guida dei 5 Stelle ci sarà, in da a rinascere dalle sue ceneri o sarà quello il giorno dei suoi solenni funerali? Molto al riguardo dipenderà da che cosa Crimi e sopra di lui Beppe Grillo, il fondatore del Movimento, riusciranno a fare e a inventare nelle prossime settimane.
Appena giunto alla ribalta il Movimento 5 Stelle aveva suscitato vasto interesse anche in chi non vi si riconosceva. Colpiva l’efficacia politica della sua proposta e la sua capacità di raccogliere grandi consensi tramite strumenti di mobilitazione non tradizionali come innanzitutto le reti sociali telematiche (“social”). Colpiva inoltre, come segno obiettivo dei tempi, la disponibilità di tanti cittadini fino a quel momento lontani dalla politica a mobilitarsi rispondendo a un appello che veniva da un partito promosso non da una forza militante organizzata bensì da una società di servizi digitali, la Casaleggio & Associali, che perciò ne aveva depositato il marchio e ne deteneva apertamente il controllo. Preoccupava invece il suo programma politico, spesso sorprendentemente vicino al riformismo autoritario del primo Mussolini, quello del periodo cosiddetto sansepolcrista (dal nome della piazza San Sepolcro a Milano, dove il partito fascista ebbe la sua prima sede).
Secondo quanto invece si legge nel suo sito web ufficiale il Movimento 5 Stelle “è una libera associazione di cittadini. Non è un partito politico né si intende che lo diventi nel futuro. Non ideologie di sinistra o di destra, ma idee. Vuole realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità dei cittadini il ruolo di governo e di indirizzo normalmente attribuito a pochi”. E’ evidente in questo il riferimento alla teoria politica di Jean-Jacques Rousseau, il pensatore ginevrino che nel Settecento teorizzò fra l’altro che unico fondamento di un’autentica democrazia sarebbe la “volontà generale” espressa in modo diretto, ossia senza la mediazione di assemblee rappresentative, da un’assemblea centrale unica di tutti i cittadini. Una volontà generale che poi lo Stato avrebbe perciò il diritto di imporre a tutti a prescindere da qualsiasi identità storica e da qualsiasi comunità territoriale o aggregazione sociale. Secondo il pensiero alla base del progetto del Movimento 5 Stelle, quello che ai tempi di Rousseau era immaginabile solo nel caso di piccole entità politiche, oggi è invece divenuto sempre possibile grazie alla telematica. Il Movimento si è perciò dotato di una piattaforma telematica, significativamente chiamata Piattaforma Rousseau, che dovrebbe rendere subito praticabile tale democrazia diretta almeno all’interno del suo elettorato. Finora però questa ipotesi non è stata confermata dai fatti: il numero di coloro che ne fanno uso è largamente inferiore al numero degli elettori dei 5 Stelle.
Alle votazioni del 2018 per il rinnovo del Parlamento nazionale i 5 Stelle raggiunsero il loro migliore risultato raccogliendo oltre 10 milioni di voti. Quando però nel settembre dell’anno seguente promossero sulla piattaforma Rousseau un’importante consultazione, gli iscritti a votare furono soltanto poco più di 115 mila. La forza delle cose sta insomma mettendo in grande difficoltà le utopie dei 5 Stelle che si trovano perciò ad affrontare il mare tempestoso della crisi italiana senza idee, senza esperienza e senza un’organizzazione adeguate a rispondere con efficacia, sia pure a modo loro, ai gravi problemi del Paese. Sempre meno insomma riescono a dare qualche concreto riscontro alle aspettative che pur avevano così efficacemente saputo suscitare. Come bene si è visto in Emilia-Romagna, adesso molti dei loro elettori delusi accolgono perciò l’invito delle “sardine” a volgersi o rivolgersi verso il Partito Democratico. Il prossimo 31 maggio andranno al voto la Campania, la Liguria, le Marche, la Puglia, la Toscana e il Veneto. Se anche lì si ripeterà quanto è già accaduto in Emilia-Romagna e in Calabria difficilmente il Movimento 5 Stelle potrà sopravvivere.
*quotidiano della Svizzera italiana
L’ha ripubblicato su gipoblog.