Bene impegnarsi a vincere la battaglia più drammatica di oggi, ma senza dimenticarsi di quella più importante di domani

Corriere del Ticino*, 16 marzo 2020

Mentre (anche un po’ ossessivamente) ogni possibile attenzione si concentra sulla campagna di contrasto al diffondersi del Corona Virus/Covid-19, continua nel Mediterraneo uno scontro, cruciale per l’Italia, di cui nessun giornale e telegiornale parla. Si tratta della campagna cui la Francia mise mano sin dal 2011 per togliere dalle mani dell’Italia e dell’Eni, l’ente petrolifero italiano, il governo strategico della nuova rete di gasdotti in corso di sviluppo nel Mediterraneo. Una vicenda – notiamo per inciso — che impone ancora una volta di domandarsi quale senso abbia l’Unione Europea non come la pensarono i suoi grandi fondatori,  ma così come è oggi.

Fu infatti con l’obiettivo, poi fallito, di sostituirsi all’Italia quale principale referente europeo della Libia che nel 2011 la Francia attaccò il dittatore libico Muammar Gheddafi aprendo nel paese nordafricano una crisi che, come è noto, non  si è fino ad oggi conclusa. La posta in gioco erano infatti i giacimenti di petrolio e di gas in concessione all’Eni, collegati all’Italia, e di qui al resto dell’Europa, tramite un gasdotto subacqueo trans-mediterraneo lungo 520 chilometri, chiamato Green Stream, che dalle coste libiche raggiunge la Sicilia dove riemerge nei pressi di Gela. Presente in Libia sin dal 1959, l’Eni è riuscito a tenersi ben stretti i suoi giacimenti e impianti libici senza mai sospendere la propria attività nel paese nordafricano anche grazie a un semplice ma efficace accorgimento. Sono dell’Eni le centrali che forniscono energia elettrica alle città libiche; e l’ente ha fatto informalmente sapere a tutte le parti in causa che, se capitasse qualcosa ai suoi impianti e ai suoi gasdotti e oleodotti, tutta la Libia resterebbe al buio e senza aria condizionata.

Mentre dunque l’attacco a Gheddafi e la sua caduta non hanno dato a Parigi il guadagno sperato, nel 2015 l’Eni ha scoperto  in un’area in sua concessione nelle acque territoriali egiziane un gigantesco giacimento, il più grande sin qui trovato nel Mediterraneo, noto col nome di Zhor, che si stima abbia riserve per 850 miliardi di metri cubi di gas naturale. Sullo spunto di tale colpo di fortuna l’Eni – che ha una sua politica estera spesso più incisiva di quella della stessa Farnesina – ha elaborato un progetto di ampio respiro, quello cioè di creare un suo sistema di gasdotti trans-mediterranei con crocevia “neutrale” a Cipro, grazie a cui collegare il mercato europeo dell’energia con le riserve di gas della Libia, dell’Egitto, di Cipro (che è un paese membro dell’Unione Europea) e di Israele: un’operazione che potrebbe anche essere la base di un futuro sviluppo industriale condiviso dell’intera area. Dapprima l’una contro l’altra, ma poi sempre più in sintonia, Parigi e Ankara hanno allora cominciato a metterei bastoni tra le ruote del progetto. Nell’ottobre scorso Ankara ha mandato navi della sua Marina a disturbare dei natanti che stavano effettuando ricerche per conto dell’Eni nelle acque di Cipro, fino a costringerli a ritirarsi. Poi nel successivo novembre ha firmato con il governo libico di Tripoli presieduto da Al Serraj, che gode del riconoscimento internazionale ma in effetti controlla solo la città e alcuni dei suoi dintorni, un trattato in cui i due paesi definiscono i confini delle rispettive aree di “giurisdizione marittima” allargandole fino a farle incontrare l’una con l’altra in mare aperto a sud dell’isola greca di Creta.  È ben difficile che altri Stati e tanto più l’Unione Europea siano disposti a riconoscere tale accordo, che in certo modo spacca in due il Mediterraneo, ma è chiaro che nell’immediato esso rende comunque ben più complesso lo sviluppo del progetto dell’Eni. Frattanto la Francia si è lanciata in progetti di gasdotti che aggirano la progettata rete trans-mediterranea dell’Eni avendo l’accortezza di incaricarne la Edison, storica azienda elettrica italiana con sede a Milano, ma oggi totalmente controllata da Électricité de France, l’ente elettrico statale francese. Il principale tra essi è quello, con una portata fino a 10 miliardi di metri cubi all’anno, destinato a trasportare gas dalla regione del Mar Caspio e dal Medio Oriente in Italia, e da qui nel resto dell’Europa, passando attraverso la Turchia e la Grecia.

È chiaro che qualsiasi scelta in  un settore di fondamentale importanza, e dove entrano in gioco in ogni caso investimenti giganteschi, implichi sempre lo scontro fra grandi interessi. Non è questo che deve sorprendere o scandalizzare. Ciò che invece sorprende e scandalizza è la totale assenza in Italia di un vero dibattito politico al riguardo. Sia in Parlamento che sui giornali è a un mare di questioni effimere o anche di semplici sciocchezze si dedica ogni giorno in Italia lo spazio che invece andrebbe riservato a scelte cruciali come queste. E d’altra parte l’Unione Europea nemmeno dispone di quella rete di oleodotti e di gasdotti totalmente interconnessa, e funzionante in ogni direzione, mancando la quale non è nei fatti il gigantesco mercato unico, e quindi il grande cliente più forte di qualsiasi fornitore, che perciò potrebbe essere.

*quotidiano della Svizzera Italiana

 

 

 

Informazioni su Robi Ronza

Giornalista e scrittore italiano, esperto di affari internazionali, di problemi istituzionali, e di culture e identità locali.
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2 risposte a Bene impegnarsi a vincere la battaglia più drammatica di oggi, ma senza dimenticarsi di quella più importante di domani

  1. Bocian ha detto:

    “…l’Eni – che ha una sua politica estera spesso più incisiva di quella della stessa Farnesina…”
    E mica c’è solo questo, Dott. Ronza.
    C’è anche la faccenduola del limite delle acque territoriali nei pressi di Ventimiglia e, ancor più, di quelle del sud-ovest della Sardegna, contese entrambe come aree di pesca.
    Le prime in pacco regalo alla Francia, le seconde all’Algeria (incredibile dictu).
    Altro che Mediterraneo: stanno entrando dentro casa ma mica protestiamo: gli stendiamo i tappetini e gli diamo le chiavi del portone.
    Su quali siano le responsabilità della Francia (e dell’altra combriccola di comici, come le avevo già segnalato) nella crisi libica e sulle pretese algerine di arrivare fin quasi al porto di Oristano non c’è da dire molto: in un paese serio ci si appellerebbe al tribunale penale internazionale per l’una e alla difesa manu militari del proprio territorio per l’altra. Ma si sa, quest sono i tempi dell’accoglienza e della diplomazia. Peccato che chi sta al comando del vaporetto non sappia fare dignitosamente né l’una né l’altra.
    Mala tempora currunt.

  2. Emanuele Ortoleva ha detto:

    La Francia ha sempre avuto un rapporto ambiguo con i turchi, dal tempo della battaglja di Lepanto

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