Lombardia. Nemmeno l’urgenza della ripresa dopo il Covid-19 giustifica la cancellazione della domenica

Scaglionare il lavoro magari su sette giorni anziché su cinque, “con orari di inizio diversi per l’evitare l’utilizzo eccessivo dei mezzi pubblici in determinate fasce”: è questa una delle proposte per l’imminente ripresa generale delle attività produttive che il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, ha presentato ieri in Consiglio regionale. E’ chiaro che in molti casi ciò presupporrebbe una riorganizzazione dei processi sia difficile che costosa, quindi non sempre praticabile. A parte ciò, e dunque fermo restando che non può essere una soluzione del problema valida per tutti, l’idea è buona.

Perché però scaglionare il lavoro su sette giorni su sette, invece che su sei giorni o cinque giorni e mezzo su sette? La differenza non è da poco: nel primo caso infatti si esclude comunque il rispetto  della domenica mentre nel secondo se ne tiene conto. Il  giorno festivo  settimanale è un grande dono che il cristianesimo, avendolo ereditato dall’ebraismo, ha fatto alla civiltà umana: una giornata grazie a cui l’otium nel senso latino, originario della parola — ossia il tempo libero dal lavoro e riservato invece alla riflessione, alla liturgia, alla cultura, al riposo e ai rapporti personali e familiari — diventa esperienza comune, sociale e non più solo individuale. Se dunque è vero che ciò non può essere mai possibile per tutti, è tuttavia doveroso fare sempre in modo che il sacrificio del lavoro domenicale continui a non essere la regola; e quindi mantenga il suo carattere di eccezione anche agli occhi di tutti, compreso chi vi è tenuto. Nemmeno l’urgenza della ripresa dell’economia dopo l’irrompere nella nostra vita del Covid-19 giustifica a mio avviso un colpo così forte al giorno festivo domenicale, già fin troppo compromesso in questi ultimi anni dall’apertura generale e permanente dei supermercati, che peraltro meriterebbe di venire ripensata.

16 aprile 2020

 

Informazioni su Robi Ronza

Giornalista e scrittore italiano, esperto di affari internazionali, di problemi istituzionali, e di culture e identità locali.
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