Con i suoi oltre dieci milioni di abitanti la Lombardia è una regione fuori scala nel contesto italiano. Ha il doppio della popolazione delle seconde regioni più popolose, il Lazio e la Campania, e oltre il doppio di quelle del Piemonte, del Veneto e dell’Emilia-Romagna. In queste pagine l’ho già ricordato più volte ma in questi tempi di Covid 19 è importante continuare a dirlo. Credo infatti di poter affermare con certezza, per averlo verificato un gran numero di volte, che il proverbiale uomo della strada non se ne rende conto.
La gente comune crede di solito che tutte le maggiori regioni del Nord abbiano più o meno lo stesso numero di abitanti. Siccome mai nessun grande giornale o telegiornale usa correggere questo errato luogo comune, il continuo comunicare dati in valore assoluto, e non relativi alla popolazione, fa sì che nella mente del pubblico si fissi l’idea che la Lombardia (tra l’altro… colpevole di dare da 25 anni la maggioranza al centrodestra) sia la Regione meno capace di reggere all’urto della pandemia.
Come si spiega una distorsione informativa così diffusa? Per trovare una risposta a questa domanda occorre considerare che attualmente, oltre alla battaglia contro il Covid19, ce n’è in corso un’altra, nell’immediato meno drammatica ma che a lungo termine potrebbe essere più disastrosa: quella che il blocco di potere burocratico statale e para-statale trincerato a Roma sta combattendo contro l’autonomia delle Regioni. Quando le Regioni nacquero, le uniche ampie competenze loro concesse furono in due materie che allora non sembravano importanti: l’istruzione professionale e la sanità. Poi la prima venne largamente mutilata (peraltro in piena violazione del dettato costituzionale) mentre la seconda è rimasta consistente fino ad oggi e ha prodotto tra l’altro la buona e ottima sanità della Lombardia e di altre regioni del Nord. Ovviamente la pandemia del Covid 19, evento di dimensioni imprevedibili, ha messo a dura prova anche la sanità di queste Regioni e il blocco di potere burocratico di cui sopra sta tentando di approfittarne. In Campania, dove si sa già che di solito gli ospedali funzionano male, se funzionano un po’ meglio è una meraviglia. In Lombardia, dove di regola funzionano benissimo, se sono un po’ in affanno è una tragedia. É umano, non c’è da scandalizzarsene, ma bisogna resistere.
Adesso alla ribalta dei telegiornali campeggia il Lazio, vicino di casa del proverbiale Palazzo, una Regione la cui sanità è stata commissariata per 12 anni e che da sola è responsabile del 30 per cento del deficit della sanità italiana. In questi giorni pare che si vaccini presto e bene soltanto lì.
Buone notizie: succede anche altrove e al riguardo ho un’esperienza personale di riferire. Essendo nato nel 1941 quest’anno compirò ottant’anni, ma siccome il mio compleanno ricorrerà nel prossimo autunno, mi cullavo nell’idea di essere ancora settantanovenne. Avendo invece accertato che statisticamente sono già ottantenne, una mia figlia mi ha iscritto d’autorità via Internet alla vaccinazione. Dopo un paio di settimane è arrivato sul mio telefono un SMS con cui mi si dava a Milano un appuntamento per il vaccino alle 11,36 di due giorni dopo in un centro vaccinale ricavato in un reparto del Pio Albergo Trivulzio: parcheggio riservato, organizzazione impeccabile, corridoi e sale lindi e luminosi, personale gentilissimo. Senza attese né code nell’arco di 10 minuti più 15 di sosta prestabilita era tutto fatto. Unica pecca, però simpatica: evidentemente abituati a ottantenni in condizioni peggiori delle mie, gli infermieri mi raccomandavano ripetutamente questo e quello gridandomi nelle orecchie a pieni polmoni e scandendo bene le parole. Uno di loro voleva a tutti i costi sorreggermi. Ho cercato di sottrarmi ma poi, temendo che la cosa finisse in una colluttazione, mi sono arreso.
12 marzo 2021
Sono d’accordissimo