Bene il premierato, mentre l’”autonomia differenziata” non è altro che molto rumore per nulla

Come si fa a sostenere che l’elezione popolare diretta del capo del governo (premier) sia un passo indietro per la nostra democrazia? Come si fa a sostenerlo avendo alle spalle ottant’anni di governi traballanti o infine più stabili grazie all’introduzione nelle leggi elettorali di premi di maggioranza che distorcono la rappresentatività del Parlamento?

Eppure è questo che vanno gridando Elly Schein e tutta l’opposizione – addirittura sbandierando il tricolore — da quando ieri la proposta di legge costituzionale che la prevede è passata in prima lettura al Senato. Dovrà poi passare alla Camera e quindi di nuovo nei due rami del Parlamento. Schlein ha comunque già annunciato che il suo partito promuoverà la raccolta di firme per un referendum abrogativo al riguardo.

Con il sistema che entrerà in vigore con questa riforma l’elettore votando per il Parlamento darà il voto al partito e al candidato da cui sente più precisamente rappresentato, e votando invece per il premier farà una scelta prudenziale per il candidato che giudica più vicino o meno lontano dai propri convincimenti. Si avrà così un governo stabile, frutto di un compromesso alto compiuto dagli elettori tra posizioni simili, che si confronta con un Parlamento chiamato via via a fare sintesi della massima parte delle identità e degli interessi che in esso sono democraticamente rappresentati. Rappresentare identità ed interessi è cosa diversa che eleggere un governo. Con la riforma che si sta votando verrà meno l’intreccio pasticciato tra queste due così diverse funzioni che caratterizza il Parlamento con l’attuale sistema. Un sistema, quello cosiddetto “parlamentare puro”, altamente instabile e perciò quanto mai inadatto ai nostri tempi, che i nostri padri costituenti copiarono dalla Francia, ma che poi la Francia abbandonò nel 1958, mentre da noi dura fino ad oggi. Forse essendo stato a suo tempo giustificato dalla necessità di consentire al Pci di partecipare all’attività di governo pur dovendone comunque restarne formalmente escluso.

La riforma del premierato sta andando poi di pari passo con quella dell’autonomia differenziata, ed è certo più che mai opportuno che ad un rafforzamento del premier corrisponda un rafforzamento delle autonomie.  Dal mio punto di vista a questo doveroso obiettivo si è data però un’attuazione assai maldestra, se non pessima.

In effetti a mio avviso si sarebbe dovuti partire dall’attuazione del sin qui mai attuato art.119 della Costituzione, ove si sancisce l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Questa avrebbe dovuto essere il punto di partenza poiché l’autonomia o è innanzitutto finanziaria o non c’è.

In secondo luogo conveniva a mio avviso avviare un meccanismo inverso: non aprire alla possibilità di una richiesta di ulteriore autonomia, che metterà in moto trattative lunghe e complicatissime, ma al contrario riconoscere ulteriore autonomia a tutte le Regioni dando poi a quelle che — considerato il gettito delle loro imposte — non se ne sentivano in grado la possibilità di rinunciare alle nuove competenze. Ciò avrebbe tolto ogni spazio alle accuse che adesso girano.

Infine, con la riserva allo Stato della definizione dei cosiddetti “Livelli essenziali delle prestazioni”, resta l’ingerenza del potere centrale in tutte le autonomie ulteriori che verranno concesse. Non c’è in effetti alcun motivo di attribuire questo compito al potere centrale. È questo un giudizio politico che dovrebbero piuttosto dare con il loro voto gli elettori degli enti autonomi interessati. Non si capisce perché allo Stato si debba attribuire un compito per così dire di patronato su amministrazioni che sono legittimate dal voto popolare non meno del governo centrale.

19 giugno 2024

Informazioni su Robi Ronza

Giornalista e scrittore italiano, esperto di affari internazionali, di problemi istituzionali, e di culture e identità locali.
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2 risposte a Bene il premierato, mentre l’”autonomia differenziata” non è altro che molto rumore per nulla

  1. Cesare Chiericati ha detto:

    Concordo che senza autonomia finanziaria qualsiasi riforma in senso federale è un’anitra zoppa in partenza: capacità di spesa e capacità impositiva dovrebbero essere i cardini di una nuova organizzazione dello Stato. Nella legge non se ne parla proprio. Sul premierato ho invece più di un dubbio perché mi sembra fuori discussione che la legittimazione popolare renderebbe il premier eletto fatalmente competitivo e concorrenziale rispetto al presidente della Repubblica scelto invece dai due rami del Parlamento in seduta comune come avviene ora. Il rischio di una diarchia sotto traccia mi pare dietro l’angolo. Penso sarebbe preferibile, all’innesto a freddo del premierato sul corpo della Repubblica parlamentare, una riforma complessiva del sistema con un rafforzamento dell’esecutivo, ma anche ripensando a fondo ruolo e funzionamento della due Camere

    • Robi Ronza ha detto:

      Penso anch’io che una riforma complessiva sarebbe preferibile, ma per questo ci vorrebbe un’assemblea costituente, che la Costituzione non prevede e a quanto sembra non consente. Stando così le cose, a mio avviso si può procedere soltanto così, dando una volta una botta al cerchio e una volta un colpo alla botte.

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