Ponte sullo Stretto: conviene? E conviene che si faccia a spese dello Stato?

Un ponte con molti dubbi, Corriere del Ticino*, 3 giugno 024

L’inizio dei lavori per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, già in programma per quest’estate, «slitta» (come si usa dire nel gergo politico italiano) alla fine dell’anno.

Si è visto che il progetto, che risale al 2011, richiede numerose (oltre 200) verifiche e aggiornamenti. Oltre a ulteriori verifiche di impatto ambientale, la principale osservazione tecnica riguarda l’altezza del ponte dalla superficie del mare, che è di 65 metri. Quando il progetto venne elaborato, per le navi più grosse allora esistenti, portacontainer e navi da crociera, tale altezza era sufficiente. Adesso invece le più alte tra le unità del genere superano i 70 metri di altezza dalla superficie del mare calmo. Quindi il problema si pone.

Quello di collegare la Sicilia all’Italia continentale è un antico sogno. Già nel 1840 Ferdinando II, Re delle due Sicilie, ne aveva fatto studiare la fattibilità, ma poi ci rinunciò perché l’enorme costo previsto era insostenibile per le casse del suo Regno.  Più tardi, sorto il Regno d’Italia nel 1861, più volte l’idea venne ripresa, e così pure dopo la nascita nel 1946 della Repubblica Italiana. 

Sospeso dal governo Monti nell’ottobre 2012, il progetto del ponte sullo stretto di Messina è stato ripreso dall’attuale governo Meloni principalmente per iniziativa di Matteo Salvini che proprio perciò ha chiesto per sé il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Salvini punta fortemente su quest’opera – il cui costo complessivo attualmente previsto è di 13,5 miliardi di euro — anche come segno e conferma dell’emancipazione della Lega dalla sua originaria immagine di partito del Nord schierato a tutela degli interessi dell’Alta Italia.

Nel 2011 venne appunto predisposto un progetto che prevede un ponte sospeso — lungo 3300 metri, sostenuto da una rete di 5 chilometri di doppi cavi agganciati a torri alte 399 metri — che sarebbe il più lungo del mondo tra quelli a campata unica.

L’opera è tecnicamente assai ardita perché deve essere in grado di resistere senza danni di rilievo anche a un forte terremoto, come quello di grado 7.3 della scala Richter che sconvolse la zona nel 1908 causando la morte di metà degli abitanti di Messina e di un terzo di quelli di Reggio Calabria. Inoltre deve essere a campata unica perché, essendo lo stretto molto profondo (anche 1200 metri nel segmento centrale) e percorso da forti correnti, non è possibile appoggiarlo su pile fondate sul fondo del mare come si è fatto nel caso del ponte sull’Øresund che — combinato con un tunnel sotterraneo e un’isola artificiale per circa 16 chilometri complessivi — dal 2000 collega la Danimarca alla Svezia.

Al di là dei problemi tecnici resta però la questione di sostanza ovvero: conviene fare il ponte? Conviene costruirlo a spese dello Stato italiano?

La risposta è complessa. Attualmente e nel futuro prevedibile la risposta è no. Il ponte giustificherebbe la sua spesa se da una parte dello stretto ci fosse Milano e dall’altra Torino nonché due regioni paragonabili alla Lombardia e al Piemonte; se cioè servisse a rendere più fluidi i collegamenti tra due cruciali aree industriali e finanziarie. Siccome non è affatto così, il ponte non conviene.

Si giustifica soltanto in caso di riorientamento dell’intera economia del Mezzogiorno d’Italia verso il Mediterraneo cui era volta finché la formazione dello Stato Italiano nel 1860-65, centralizzato come si sa, lo costrinse a ”girarsi” verso un’Europa renana da cui è irrimediabilmente remoto.  Siccome però ciò implica grandi lavori di adeguamento degli assi autostradali e ferroviari da Napoli e Bari a Reggio Calabria, e poi in Sicilia almeno nel triangolo Messina-Palermo-Catania, nonché lo sviluppo dei porti di Palermo e di Catania, c’è chi dice che lo Stato italiano farebbe meglio a cercare il finanziamento della costruzione del ponte sul mercato internazionale dei capitali (il che equivarrebbe ipso facto ad una verifica della sua convenienza) e investire piuttosto le risorse di cui dispone in quelle nuove infrastrutture senza le quali esso diventerebbe una cattedrale nel deserto. Altri invece sostengono che sarà proprio la costruzione del ponte a dare un’ineludibile spinta alla infrastrutturazione dell’intero Mezzogiorno.

*quotidiano della Svizzera Italiana

Informazioni su Robi Ronza

Giornalista e scrittore italiano, esperto di affari internazionali, di problemi istituzionali, e di culture e identità locali.
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3 risposte a Ponte sullo Stretto: conviene? E conviene che si faccia a spese dello Stato?

  1. Bocian ha detto:

    Egregio Dott. Ronza,

    credo di avere espresso in altre occasioni la mia perplessità sull’opera, non tanto per il costo in sé, quanto per il fatto che un’impresa tecnologica talmente ardita posa i piedi (è proprio il caso di dire) su un terreno estremamente fragile e soggetto a movimenti tellurici. La realizzazione si troverebbe in tal modo soggetta al rischio di lesioni e/o inagibilità: la più perfetta delle cattedrali nel deserto.

    Sul costo e sulle analisi di politica economica c’è naturalmente da discutere, ma non nel senso che alcuni, di cui lei ospita l’opinione, paventano: ovvero che siccome in altre aree del paese le economie sono più trainanti, conviene investire i soldi dello stato in quelle aree. Secondo questa logica, nei territori già poveri e soggetti a una fortissima emigrazione della forza lavoro, congiunta a una denatalità mai vista prima, non conviene investirci quattrini. Malthus non avrebbe potuto esprimersi meglio. Per esemplificare, elettrificare la linea ferroviaria Cagliari-Sassari non conviene perché anche sommando la popolazione dei due centri non si arriva neppure a metà di quella della sola Milano. Immaginiamoci il portare la linea ferroviaria a Nuoro (meno di 30000 abitanti). E poi ci si lagna dello spopolamento delle zone interne e dell’abbandono delle campagne…

    Sulla partecipazione del mercato internazionale di capitali, è inutile che ci si nasconda dietro un dito: allo stato attuale gli unici raggruppamenti che possono fornire abbondanti quattrini sono i potentati arabi e la Cina. E mi pare che gli abbiamo già venduto abbastanza.

    Cordiali Saluti

    • Carlo Meazza ha detto:

      condivido con.lei. Ma questo è un governo che spende una marea di soldi per la deportazione e la detenzione in Albania, in campi di prigionia, di persone in cerca di una vita migliore…

      • Bocian ha detto:

        Gentile Sig. Meazza,

        davvero non riesco a capire perché tiri in ballo una questione che con l’argomento del ponte sullo stretto c’entra come i classici cavoli a merenda, ma tant’è… (curioso, per esempio, che non citi le risorse buttate sul 110% o sul reddito di cittadinanza)

        Sa bene che sulla questione dell’accoglienza (e sorvolo, per carità di patria, su quale tsunami di soldi i governi precedenti abbiano speso per onorare questo mantra politico) il problema principale non è il (presunto) “campo di prigionia”, ma ciò che più o meno abilmente viene sempre bypassato:

        1. davvero TUTTI hanno diritto ad entrare in Italia? Se è così allora aboliamo tranquillamente i confini e chi li difende e sorveglia (ma nessuno dei sostenitori del “prendiamoli tutti” ha il coraggio di fare un’affermazione simile, che sebbene logicamente conseguente è anche ovviamente sconclusionata);
        2. una volta fatti entrare, cosa vanno a fare? Li lasciamo alla disperazione dell’accattonaggio o si ha un piano per l’impiego, affinché possano vivere dignitosamente e non ingrossare le fila dei disperati/sfruttati e della criminalità organizzata? (e anche qui, per favore, lasciamo perdere i vaneggiamenti da ubriacone che “i migranti sono una risorsa” o che “i migranti ci pagheranno le pensioni”);
        3. per coloro che nei fatti (anche di cronaca più o meno nera) dimostrano di non volersi integrare né di rispettare le leggi dello stato che li accoglie, è legittimo il rimpatrio? O ce li dobbiamo tenere (e campare) a vita? con quali costi? e a carico di chi?

        Vede bene che il problema, prima ancora che politico, è di sostenibilità economica, senza la quale ogni atteggiamento ideologico (buonista o meno) è destinato inesorabilmente al fallimento.

        Le bandiere del sovranismo o del suo contrario, ci devono fare i conti. Il resto sono chiacchiere a vuoto, buone per discorsi salottieri. Si faccia invece un giretto nelle stazioni o nei quartieri degradati delle grandi aree metropolitane: le assicuro che sarà piuttosto istruttivo. Se lo fa di sera, anche pericolosetto.

        Cordiali Saluti

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