Con i suoi circa sette milioni di studenti e oltre 684 mila insegnanti la scuola statale italiana è la più grande organizzazione attiva nella società del Paese. E anche purtroppo la meno efficiente.
Per l’importanza che ha sia per il nostro presente che per il nostro futuro dovrebbe perciò essere un obiettivo primario di qualsiasi governo. Eppure non è così: anche se tutti ne parlavano nel loro programma delle scorse elezioni, nessuno dei partiti che si sono presentati l’ha indicata tra le sue priorità. Come mai? Forse perché tutti sanno che è una gigantesca gatta da pelare sia a causa delle sue dimensioni e sia soprattutto a causa del potere che hanno in essa dei sindacati corporativi che di fatto la governano impedendo sin qui l’introduzione di qualsiasi efficace sistema di valutazione della qualità del lavoro degli insegnanti. La scuola statale italiana è fatta su misura per le esigenze dei suoi insegnanti, specialmente dei meno preparati e dei meno motivati, e non per il bisogno di istruzione dei suoi studenti.
A causa di ciò nel tempo si è stretto un patto perverso in forza del quale l’insegnante è sottopagato ma in cambio può, secondo quel che vuole e quel che sa, sia insegnare che non insegnare perdendo tempo e facendolo impunemente perdere ai suoi alunni. Per soprammercato si è diffusa l’idea che nelle scuole dell’obbligo si debba infine sempre promuovere. Ciò con danno immediato e anche con la conseguenza di inviare studenti impreparati a compromettere l’insegnamento nelle scuole superiori pure di quegli insegnanti che sono disposti ad insegnare.
Per di più anche gli insegnanti (non tutti) che sono in cattedra per aver vinto dei concorsi sono stati selezionati sulla base della loro conoscenza delle materie ma non delle loro capacità pedagogiche. E di nessuno si controlla poi nel tempo l’aggiornamento. Per tutti questi motivi studiare nelle scuole statali, ossia in Italia in quasi tutte le scuole, è un po’ come giocare al lotto: qualcuno vince, ma la maggior parte perde. La conseguenza di tale stato di cose è fra l’altro un forte tasso di abbandoni, 543 mila all’anno, e infine un numero di diplomati e laureati proporzionalmente molto più basso che in altri Paesi europei confrontabili con il nostro.
Diverso è il caso degli istituiti paritari che però in Italia sono attualmente poca cosa: l’anno scorso 12.202, di cui 8634 scuole dell’infanzia (zero-cinque anni), con 814.390 scolari e studenti.
Fermo restando che la scuola va ripensata superando la riforma Gentile del 1923 su cui ancora sostanzialmente si basa, qual è a mio avviso la via su cui incamminarsi per risolvere questo immane problema? È quella di riconoscere all’utente il diritto a scegliere dove e da chi acquistare il servizio scolastico tramite la concessione di un buono scuola, peraltro promesso sia nel programma elettorale di Fratelli d’Italia che in quello di Forza Italia. Un buono scuola valido però non soltanto per le scuole paritarie ma anche per la scuola statale che nel nostro Paese non può che continuare a lungo ad essere quella predominante. Si tratterebbe insomma di dare ad ogni famiglia dei buoni scuola da “spendere” per iscrivere i propri figli ad una scuola sia essa paritaria che statale. L’iscrizione alla scuola statale dovrebbe essere ad una precisa sezione e gli insegnanti di ogni sezione, liberamente aggregatisi, dovrebbero essere noti con congruo anticipo con tutte le modifiche del loro sistema di reclutamento e di assegnazione che ciò implica. Così facendo non ci sarebbe più bisogno di inventarsi chissà quale meccanismo di verifica della qualità dell’organizzazione della singola scuola nonché del lavoro degli insegnanti: la selezione verrebbe provocata dalla scelta degli utenti di iscriversi a questa o quella scuola, a questa o a quella sezione. E in forza di tale meccanismo si avvierebbe non solo un proporzionato sviluppo della scuola paritaria ma anche un generale processo di risanamento della scuola statale.
12 ottobre 2022
Robi, cosa diresti se i musulmani aprissero delle scuole private in Italia e molti di noi si presentassero là col buono scuola, come fosse un buono pasto, perché hanno insegnanti migliori di quelli della famigerata scuola pubblica?
-Non ci vedrei niente di male se tali scuole avessero dei piani di studi (piani di studi, non programmi) approvati dallo Stato e quella fosse la scelta fatta dai genitori dei ragazzi. Ritengo infatti che le scelte educative competano ai genitori e più tardi agli studenti e non allo Stato e che quindi lo Stato non debba riservarsi il monopolio della scuola pubblica gratuita o semigratuita.
Sono sempre stato un sostenitore della scuola pubblica statale, per molti motivi, due in particolare: uno, nonostante tutti difetti della omologazione culturale insiti nella scolarizzazione di massa, ha storicamente permesso… la scolarizzazione di massa. Adesso che siamo tutti alfabetizzati e mediamente istruiti possiamo lamentarci della scuola statale e vagheggiare il buono scuola come correzione in meglio, ma fino a quando lo Stato (post-risorgimentale, massonico e poi fascista quanto si vuole) non ha assunto il monopolio dell’istruzione, l’istruzione era privilegio di pochi. Inutile raccontarsi il contrario. Aggiungo (due) che la mia simpatia per la scuola statale deriva anche dal fatto che dalle scuole private cattoliche non ho mai visto uscire né grandi geni, né tipi umani visibilmente migliori, ma diciamo semplicemente più originali o interessanti. Mi rendo conto però che questa è una considerazione troppo opinabile e personale.
Detto questo, la soluzione dei buoni scuola non mi trova pregiudizialmente contrario ma mi resta sempre un dubbio sul lato dell’offerta. Lo studente sceglie dove rivolgersi, ma che margine di discrezionalità ha la scuola per negare l’iscrizione a Tizio piuttosto che a Caio? Parlo in astratto, ma ho comunque testimonianza di più di un caso concreto di rifiuti (pretestuosi) in tal senso.
A mio avviso la scolarizzazione di massa è in frutto della contrmporaneità, non della statalizzazione della scuola, tanto e vero che esiste come realtà o come obiettivo anche in Paesi nei quali la scuola non si fonda sulla scuola statale. In quanto al problema che poi lei pone, e che è reale, in primo luogo le faccio presente che già adesso esiste, in sistemi basati sulla scuola statale come il nostro. la possibilità (seppur oggi divenuta di fatto teorica) di essere esclusi non solo da una certa scuola anche da tutte le scuole della Repubblica.
In un sistema basato, come quello che per parte mia auspico, basato sull’offerta a tutti di scuole diverse, penso che si dovrà poi pensare ad un’equa ripartizione fra tutte le scuole dei “lucignoli”.