Dopo Helsinki: Trump e la sfida salutare che l’Europa farebbe bene a raccogliere

Ieri a Helsinki, durante la conferenza stampa convocata dopo la conclusione dei colloqui fra Trump e Putin, a un giornalista che gli domandava se credeva ai propri servizi segreti oppure a Putin a proposito delle presunte interferenze russe nelle elezioni presidenziali da cui egli stesso uscì vincitore nel 2016, Trump ha risposto: “President Putin says it’s not Russia. I don’t see any reason why it would be (Il presidente Putin dice che la Russia non c’entra. Non ho alcun motivo per pensare il contrario )”. Queste le sue testuali parole che riportiamo qui per documentazione anche nell’originale inglese. Ha poi anche aggiunto che la responsabilità degli attuali cattivi rapporti tra Usa e Russia ricade più sui precedenti governi americani che sulla Russia.

Domenica scorsa, in un’intervista mandata in onda dalla CBS in “Face the Nation”, un programma televisivo giornalistico molto seguito negli Stati Uniti, alla domanda su quale fosse nel mondo il maggior avversario (foe) degli Usa lo stesso Trump aveva risposto: “Bene, penso che abbiamo un mucchio di avversari. Penso che l’Unione Europea sia un avversario, per quello che ci fanno in campo commerciale. Dell’Unione Europea uno non lo penserebbe, ma sono un avversario”. Sia l’intervistatore che Trump avevano usato appunto la parola foe, che significa avversario e non strettamente nemico (enemy), ma poi nelle traduzioni in altre lingue, compresa la nostra, una stampa internazionale oggi in genere ostile all’attuale presidente americano non ci aveva messo molto a rincarare la dose sia parlando di “nemico” e non di “avversario” e sia parlando di “Europa”, ossia del nostro continente in quanto tale, e non di “Unione Europea” ovvero di una specifica istituzione.

Comunque un presidente Usa che giudica l’Unione Europea come un grande avversario commerciale degli Stati Uniti, e  che  afferma pubblicamente di credere di più al suo omologo russo che ai propri servizi segreti, è certamente qualcosa che nessuno si sarebbe aspettato.  Significa che con Trump gli Stati Uniti mettono  in soffitta non solo la realtà ma anche la retorica dell’atlantismo, ovvero la dottrina che  animò lo schieramento anti-sovietico negli anni della Guerra fredda. Guardando freddamente ai fatti si dovrebbe concludere che era ora, se si considera che tale guerra finì, con la vittoria degli “atlantici” e la disfatta dell’Unione Sovietica, nel 1991 ovvero quasi trent’anni fa. Con un modo di fare che ha il difetto di essere molto grezzo, ma il pregio di essere molto diretto, Trump riconosce finalmente il nuovo stato di cose e proclama che con lui gli Usa intendono trarne tutte le conseguenze. Ovunque arrivi, oggi in Europa come ieri nel Sudest asiatico, il presidente americano entra in campo dando spallate a vecchi scenari che non corrispondono più alla realtà odierna, e dopo averne calpestate le macerie chiede che la situazione venga ripensata ex novo. In questo quadro non è né giusto né ragionevole stracciarsi le vesti ed erigersi a difensori o a peraltro maldestri restauratori del vecchio ordine costituito, come molti a Bruxelles, a Parigi e altrove stanno cercando di fare. Sarebbe molto meglio accettare la sfida salutare di Trump, condividere l’opportunità della pars destruens della sua politica internazionale, ma poi partecipare con idee e con forza alla costruzione del nuovo ordine internazionale che si delinea. Lasciandosi alle spalle la retorica di una solidarietà atlantica (spesso pelosa perché sostanzialmente pensata a misura di Washington) Trump viene a dirci che intende innanzitutto difendere gli intessi del suo Paese. Meglio sarebbe prenderne atto e accettare la sfida impegnandosi in una politica orientata a creare un nuovo ordine internazionale cui contribuire su analoghe basi, ovvero a partire dalla considerazione del proprio interesse nazionale. Senza dubbio, osserviamo concludendo, ben altro peso si avrebbe come europei se si entrasse in campo come Unione Europea, e non come singoli Paesi. Ciò tuttavia non sarà possibile fino a quando non si arriverà a costruire qualcosa che purtroppo oggi ancora non esiste: un organico ed equilibrato interesse complessivo dell’Unione.

17 luglio 2018

P.S.

Successivamente, come si è saputo mentre in Europa era notte, Trump ha corretto la sua dichiarazione a Helsinki a proposito delle presunte interferenze russe sulle elezioni presidenziali americane del 2016. Intendeva esprimersi, ha fatto sapere, con una doppia negazione che invece per errore non aveva completato. Avrebbe insomma voluto dire “Non ho alcun motivo per non pensare il contrario ” e invece ha detto “Non ho alcun motivo per pensare il contrario”.  Prendiamone atto, anche se la cosa è un po’ sorprendente. Ciò ad ogni modo non pregiudica la sostanza del nostro commento sulla sua linea di politica estera.

18 luglio 2018

 

 

 

 

Informazioni su Robi Ronza

Giornalista e scrittore italiano, esperto di affari internazionali, di problemi istituzionali, e di culture e identità locali.
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