Viva Salvini?

Con tutta la libertà che ci viene dal fatto di non aver mai avuto grande sintonia con Matteo Salvini diciamo volentieri di aver apprezzato toto corde le sue parole riguardo all’espulsione dall’Italia di due diplomatici russi ordinata dal governo Gentiloni. Piegandosi a pressioni nordatlantiche che hanno ben poco a che fare con il nostro interesse nazionale, il governo Gentiloni, benché ancora in carica solo “per il disbrigo degli affari correnti”,  non ha esitato a prendere tuttavia questo provvedimento nient’affatto di ordinaria amministrazione. “Se fossi stato al governo non avrei fatto una scelta del genere”, ha detto in proposito  Salvini. “Invece che riannodare i fili del dialogo”, ha aggiunto, “il governo italiano subisce la richiesta, che arriva da altri, ed espelle diplomatici russi (…) mi sembra una cosa poco utile a un futuro di dialogo e convivenza”. Nel silenzio di tutte le altre forze politiche, compresa Forza Italia, insieme a Giorgia Meloni Salvini è stato l’unico a prendere tale posizione.

Si era parlato in proposito di una linea comune assunta in sede Nato per solidarietà con la Gran Bretagna, irritata per l’avvelenamento a Salisbury dell’ex-spia russa Sergieji Skripal e della figlia, in cui Londra vede la mano dei servizi segreti di Mosca. In realtà l’adesione dei membri europei della Nato a tale rappresaglia non è stata né totale né incondizionata. Solo 18 Paesi membri, tra cui l’Italia, hanno deciso di parteciparvi. Altri, fra cui Portogallo, Austria Grecia, Lussemburgo, Slovacchia, Bulgaria, Malta e Cipro, ne sono rimasti fuori. In particolare l’Austria si è proposta come tramite per una soluzione della crisi. In  questo variegato quadro Gentiloni ha perso un’ottima occasione per restare fuori da tale manovra, come avrebbe potuto brillantemente fare adducendo il suo status di capo di un  governo dimissionario legittimato solo all’ordinaria amministrazione.

Al di là del casus belli, su cui peraltro la diretta responsabilità del governo russo resta tutta da dimostrare, resta il fatto che quella del ricorrente attrito con la Russia è una carta che tipicamente gioca a favore delle potenze nordatlantiche e invece a chiaro svantaggio dell’Europa continentale. Non a caso, sin dall’epoca napoleonica, la coltivazione di tale attrito è perciò una priorità strategica della diplomazia della Gran Bretagna, e più tardi anche (e infine in primo luogo) di quella degli Stati Uniti. Per una serie di complicati intrecci su cui qui non abbiamo tempo di soffermarci, oggi in Italia il “partito americano” è il Pd,  e non invece le forze che  occupano lo spazio già della Democrazia Cristiana, ossia il “partito americano” dell’epoca della Guerra fredda. Perciò non sorprende, anche se dispiace, che il governo Gentiloni si sia accodato alla decisione di Londra e di Washington a causa della quale siamo ormai a 151 diplomatici russi espulsi da vari Paesi occidentali europei e non, compresi il Canada e l’Australia.

A 73 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e a 27 anni dalla fine della Guerra fredda sarebbe ora che l’Italia si liberasse da una soggezione agli interessi nordatlantici che un tempo era inevitabile ma oggi per nostra buona sorte non lo è più. Ciò implica una reinvenzione della nostra politica estera, che va finalmente basata sulla riscoperta della priorità che — tanto in generale quanto specificamente in sede di Unione Europea — hanno per noi gli scacchieri mediterraneo e danubiano. E prima ancora sull’emancipazione da un complesso d’inferiorità verso il Nord Europa che le élites “laiche” di tradizione risorgimentale da sempre alimentano senza motivo. Se Salvini è davvero su queste posizioni viva Salvini.

 

 

Informazioni su Robi Ronza

Giornalista e scrittore italiano, esperto di affari internazionali, di problemi istituzionali, e di culture e identità locali.
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