Un preoccupante muro di incomprensione tra calando tra la parte orientale dell’Unione Europea e la sua parte occidentale. Il casus belli della campagna, cavallo di battaglia della stampa “illuminata” dei Paesi fondatori, è la questione del “ricollocamento” dei migranti irregolari. L’oggetto del contendere è però molto più ampio, e meriterebbe di venire considerato attentamente. Non di venire liquidato a colpi di luoghi comuni tanto perentori quanto mal fondati.
In questo momento la parte del cattivo viene assegnata all’Ungheria di Viktor Orbán (anzi di Orbán Viktor come si dovrebbe dire all’uso ungherese) che non solo rifiuta il ricollocamento ma oggi ha introdotto nella Costituzione un articolo in forza di cui “collocare cittadini stranieri sul territorio del Paese è vietato, salvo autorizzazione del Parlamento”. In Occidente, notiamo per inciso, Orbán viene spacciato come una specie di dittatore. Ben di rado, forse mai, ci si ricorda di dire che gli elettori gli hanno dato in Parlamento una maggioranza dei due terzi. Il che significa, se la democrazia conta ancora qualcosa, che è pienamente legittimato a governare.
Sulla stessa linea sono comunque anche tutti gli altri Paesi del cosiddetto Gruppo di Visegrád ( Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria), nell’insieme oltre 64 milioni di abitanti, 533.616 chilometri quadri di superficie e un tasso di crescita economica superiore all’attuale media europea. Dunque non quattro gatti e nemmeno un semplice angoletto dell’Unione. E allo stesso modo la si pensa anche altrove nell’Est. Dopo la deliberata confusione tra rifugiati o aspiranti all’asilo e migranti, che in questi giorni dilaga, quello del “ricollocamento” è un altro degli equivoci che complicano gravemente il problema delle migrazioni irregolari. Diversamente da quanto i tecnocrati delle istituzioni europee amano far credere, i migranti non puntano affatto a entrare genericamente nel territorio dell’Unione. Per ovvi motivi mirano a raggiungere amici, parenti o comunque connazionali là dove essi sono già insediati e numerosi, ossia in alcuni pochi Stati dell’Europa nord-occidentale. Se anche con grandi sforzi e grandi spese si spedisse ad esempio in un villaggio ungherese qualcuno che stava cercando di raggiungere i suoi parenti ad Amburgo non è difficile capire che cosa costui farà non appena gli sarà possibile: si rimetterà in viaggio per Amburgo.
Fermo restando quanto occorre fare perché terminino queste migrazioni irregolari (dannose non solo per i Paesi di arrivo in Europa ma prima ancora per quelli di partenza nell’emisfero Sud), più che al ricollocamento si potrebbe pensare a un’equa ripartizione fra tutti i membri dell’Ue delle spese che a causa di queste migrazioni gravano su alcuni di essi in modo specifico.
D’altra parte l’indisponibilità generale all’accoglienza indiscriminata e definitiva di immigrati irregolari dall’emisfero Sud — che nell’Est europeo non è dei governi ma in primo luogo della gente comune — ha delle forti radici storiche e culturali che non si possono ignorare. Da un lato nell’Est si ritiene che tale fenomeno sia un’eredità inattesa del colonialismo, sia insomma il contraccolpo negativo di una vicenda cui l’Europa orientale non partecipò. Non avendo a suo tempo goduto dei vantaggi del colonialismo, i Paesi europei dell’Est non si sentono oggi in dovere di farsi carico di quella che ritengono essere una delle sue conseguenze non gradite. Dall’ altro lato quelli dell’Est sono Paesi spesso etnicamente complessi, con confini recenti e quasi mai ben sedimentati, non di rado con zone mistilingui con un passato di tensioni inter-etniche che potrebbero riesplodere. Infine o la dura realtà o il pericolo a lungo incombente del dominio turco hanno lasciato nella memoria collettiva delle nazioni est-europee una diffidenza verso l’Islam assai più radicata e motivata di quella relativamente meno forte e più recente che se ne ha nell’Europa occidentale. In situazioni del genere gli eventuali insediamenti di stranieri provenienti dall’ emisfero Sud potrebbero portare a ulteriori complicazioni di assetti socio-culturali già molto complicati.
Pretendere che criteri buoni magari per il Lussemburgo possano andar bene anche per la Slovacchia o per l’Ungheria è un’astrazione, se non una sciocchezza. E ciò vale non solo per il caso specifico dei migranti irregolari, ma anche per tutto il resto. Una burocrazia obiettivamente mostruosa ( la Commissione Europea è una “macchina” con nientemeno che 32 mila addetti) sta cercando di trasformare a propria immagine e somiglianza l’intera Unione Europea anche a costo di strozzarla.
E’ un processo da fermare. Anche se ovviamente non può prescindere dal rapporto necessario con la Germania e con la Francia, fra i grandi Paesi fondatori l’Italia avrebbe tra l’altro tutto il dovere e tutto l’interesse a porsi in tale prospettiva come interlocutore privilegiato non solo dei Paesi del Gruppo di Visegrád ma anche in genere dell’intero Est europeo.
20 giugno 2018
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