Partito Democratico e 5 Stelle sempre più vicini: meglio così

M5S e PD, la strana alleanza e un ostacolo, Corriere del Ticino*, 28 aprile 2021

Benché fino a un recente passato si dichiarassero tra loro assolutamente incompatibili, il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico si stanno ora avvicinando l’uno all’altro, con un processo che potrebbe risolversi in una semplificazione positiva del quadro politico italiano. D’altra parte in termini di cultura politica in Italia tale quadro è più semplice di quanto appaia guardando solo alle turbolenze della cronaca, oggi più che mai amplificate dalle chiacchere dei salotti televisivi.

Anche se la sovra-esposizione mediatica dei leader induce troppi di loro a calcare continuamente i toni, a lungo termine la forza delle cose conserva ovviamente tutto il suo peso. In tale orizzonte in Italia si delineano tre culture politiche e quindi altrettante aree. Due di esse attualmente occupano quasi per intero la scena, mentre la terza è al momento ai minimi termini. È la concezione del ruolo rispettivo della società e dello stato ciò che le distingue l’una dall’altra.

Per la prima, cui appartengono sia il Movimento 5 Stelle che il Partito Democratico, solo tramite l’azione diretta e centralizzata dello stato, finanziata da una dilatazione tendenzialmente senza limiti della spesa pubblica, si può giungere a una giustizia e a una pace sociale che invece la società civile non smette mai di insidiare.

Ora che il Movimento 5 Stelle si è stabilmente affacciato alla ribalta della vita pubblica, la forza delle cose che lo spinge verso l’alleanza con il PD incontra un solo grande ostacolo: Beppe Grillo, il fondatore carismatico, e gli altri della «vecchia guardia».  Se così stanno le cose, e a mio avviso stanno proprio così, bene si spiegano la comparsa sulla scena e la rapida marcia di Giuseppe Conte che, cooptato al vertice dei 5 Stelle in veste di esperto esterno, nell’arco di nemmeno due anni ha spinto ai margini l’intero gruppo dirigente storico, da Di Maio a Casaleggio per arrivare ora allo stesso Grillo. Dall’altra parte del guado il PD, ora ridotto a uno stato maggiore senza esercito, attende speranzoso la base elettorale pentastellata che Conte gli sta portando in dote. Non sarà magari tantissima gente, ma ad ogni modo sarà molta rispetto a quella che il PD ancora conserva di suo.

È in questo quadro che si spiega l’enorme eco mediatica che ha avuto un maldestro sfogo televisivo di Beppe Grillo, intervenuto in difesa di un suo figlio da due anni sotto inchiesta giudiziaria perché accusato di stupro. L’accusa viene da una delle due ragazze che avevano passato la notte in una villa della sua famiglia in Sardegna insieme a lui e ad altri tre suoi amici. La squallida vicenda apre uno squarcio su una situazione in cui tra l’altro poteva anche essere arduo fissare il confine fra il consenso e il diniego di rapporti sessuali. A parte questo, che ci si deve attendere venga chiarito in sede giudiziaria, che cosa c’entra tutto ciò con il Movimento 5 Stelle e la sua leadership? Ovviamente non c’entra nulla. Che l’episodio sia invece divenuto un argomento di cronaca politica si spiega solo nel quadro di ciò che si diceva.

Se da una parte nell’area statalista (ancora chiamata di centrosinistra anche se non si sa più bene perché) sta comunque avvenendo questo ricompattamento, nell’area lato sensu di cultura politica liberale non è all’orizzonte niente di simile. Qui la forza delle cose non può ancora nulla contro una situazione che vede i tre leader, Silvio Berlusconi di Forza Italia, Matteo Salvini della Lega Nord e Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, tenersi in scacco l’uno con l’altro, essendo tra l’altro i primi due nell’attuale maggioranza di governo e la terza all’opposizione. Nessuno di loro può oggi sperare di divenire capo di governo, ma ciononostante concordemente escludono la possibilità di costruire un loro comune candidato premier.  Quindi condannano l’area politica di cui sono antesignani a restare o ai margini o fuori dal governo anche se è la maggioranza nel Paese.

Restano da dire due parole sull’area di cultura politica cattolico-popolare, che nei decenni seguiti alla fine della Seconda guerra mondiale con il partito della Democrazia Cristiana ebbe come noto un ruolo di primo piano in Italia. Pur disponendo oggi — grazie alla riflessione tra l’altro raccolta in vari documenti papali, dalla Caritas in Veritate alla Fratelli tutti — di un pensiero politico attuale e interessante, continua a restare ai minimi termini. Sul piano politico non ha perciò al momento alcuna particolare rilevanza.

Anche se la sovra-esposizione mediatica dei leader induce troppi di loro a calcare continuamente i toni, a lungo termine la forza delle cose conserva ovviamente tutto il suo peso. In tale orizzonte in Italia si delineano tre culture politiche e quindi altrettante aree. Due di esse attualmente occupano quasi per intero la scena, mentre la terza è al momento ai minimi termini. È la concezione del ruolo rispettivo della società e dello stato ciò che le distingue l’una dall’altra.

Per la prima, cui appartengono sia il Movimento 5 Stelle che il Partito Democratico, solo tramite l’azione diretta e centralizzata dello stato, finanziata da una dilatazione tendenzialmente senza limiti della spesa pubblica, si può giungere a una giustizia e a una pace sociale che invece la società civile non smette mai di insidiare.

Ora che il Movimento 5 Stelle si è stabilmente affacciato alla ribalta della vita pubblica, la forza delle cose lo spinge pertanto verso l’alleanza con il PD. E’ un processo che incontra un solo grande ostacolo: Beppe Grillo, il fondatore carismatico, e gli altri della «vecchia guardia».  Se così stanno le cose, e a mio avviso stanno proprio così, bene si spiegano la comparsa sulla scena e la rapida marcia di Giuseppe Conte che, cooptato al vertice dei 5 Stelle in veste di esperto esterno, nell’arco di nemmeno due anni ha spinto ai margini l’intero gruppo dirigente storico, da Di Maio a Casaleggio per arrivare ora allo stesso Grillo. Dall’altra parte del guado il PD, ormai ridotto a uno stato maggiore senza esercito, attende speranzoso la base elettorale pentastellata che Conte gli sta portando in dote. Non sarà magari tantissima gente, ma ad ogni modo sarà molta rispetto a quella che il PD ancora conserva di suo.

È in questo quadro che si spiega l’enorme eco mediatica che ha avuto un maldestro sfogo televisivo di Beppe Grillo, intervenuto in difesa di un suo figlio da due anni sotto inchiesta giudiziaria perché accusato di stupro. L’accusa viene da una delle due ragazze che avevano passato la notte in una villa della sua famiglia in Sardegna insieme a lui e ad altri tre suoi amici. La squallida vicenda apre uno squarcio su una situazione in cui tra l’altro poteva anche essere arduo fissare il confine fra il consenso e il diniego di rapporti sessuali. A parte questo, che ci si deve attendere venga chiarito in sede giudiziaria, che cosa c’entra tutto ciò con il Movimento 5 Stelle e la sua leadership? Ovviamente non c’entra nulla. Che l’episodio sia invece divenuto un argomento di cronaca politica si spiega solo nel quadro di ciò che si diceva.

Se da una parte nell’area statalista (ancora chiamata di centrosinistra anche se non si sa più bene perché) sta comunque avvenendo questo ricompattamento, nell’area lato sensu di cultura politica liberale non è all’orizzonte niente di simile. Qui la forza delle cose non può ancora nulla contro una situazione che vede i tre leader, Silvio Berlusconi di Forza Italia, Matteo Salvini della Lega Nord e Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, tenersi in scacco l’uno con l’altro, essendo tra l’altro i primi due nell’attuale maggioranza di governo e la terza all’opposizione. Nessuno di loro può oggi sperare di divenire capo di governo, ma ciononostante su una cosa sono tutti e tre d’accordo: nell’escludere la possibilità di costruire un loro comune candidato premier.  Quindi condannano l’area politica di cui sono antesignani a restare o ai margini o fuori dal governo anche se è la maggioranza nel Paese.

Restano da dire due parole sull’area di cultura politica cattolico-popolare, che nei decenni seguiti alla fine della Seconda guerra mondiale con il partito della Democrazia Cristiana ebbe come noto un ruolo di primo piano in Italia. Pur disponendo oggi — grazie alla riflessione tra l’altro raccolta in vari documenti papali, dalla Caritas in Veritate alla Fratelli tutti — di un pensiero politico forte, attuale e interessante, continua a rimanere ai minimi termini. Sul piano politico non ha perciò al momento alcuna particolare rilevanza.

*Quotidiano della Svizzera Italiana

Informazioni su Robi Ronza

Giornalista e scrittore italiano, esperto di affari internazionali, di problemi istituzionali, e di culture e identità locali.
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Una risposta a Partito Democratico e 5 Stelle sempre più vicini: meglio così

  1. Roberta22 ha detto:

    I cattolici erano del popolo quando Don Sturzo li reclutava tra i parrocchiani, quando c’era una selezione in base alla persona, non al voto-portfolio. I cattolici postguerra sono i maghi dell’intrallazzo, della spartizione del bottino. Sono quelli che preferiscono un sovrastato chiamato europa perché odiano l’Italia e gli italiani. Tanto cattolici che nemmeno danno un sostegno istituzionale per le poverette (quasi tutte straniere) che abortiscono perché non hanno sostentamento. Ma tanto popolari che votano per l’affido dei bambini alle coppie dello stesso sesso (Maurizio Lupi). Tanto cattolici da sostenere una sanità a cottimo.

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