Prisma/nuova serie n. 45, 21 ottobre 2011
Infine,e in modo quanto mai tragico, la pretesa della Francia e dell’Inghilterra di tenere i fili della crisi libica è stata ancora una volta smentita dai fatti. Si era in molti a pensare, ed io tra questi, che la latitanza del colonnello sarebbe durata ancora a lungo poiché Parigi e Londra avevano bisogno di tempo per preparare quel loro progetto per la Libia del dopo-Gheddafi che non avevano saputo predisporre preventivamente. La situazione invece è sfuggita di mano e per di più il linciaggio di Gheddafi ormai prigioniero e ferito, da parte di un manipolo senza guida di giovanissimi miliziani ubriachi di sangue, grazie a videoriprese di telefonini ha fatto in un attimo il giro del mondo. Tutti sappiamo che cose del genere sono purtroppo accadute in tutte le guerre; e specialmente nelle guerre civili dove può facilmente accadere che chi si trova nelle mani il tiranno sconfitto si senta in diritto di fare in un attimo anche peggio di quanto la sua vittima aveva fatto in tutti gli anni della sua tirannia. Tanto per citare un caso che appartiene alla nostra storia nazionale, sovviene la memoria del massacro di Mussolini, di Claretta Petacci e dei gerarchi in fuga insieme a loro nell’aprile 1945, trucidati senza processo tra Giulino di Mezzegra e Dongo; e i cui corpi portati a Milano vennero poi esposti al ludibrio della folla appesi a testa in giù alla pensilina di una stazione di servizio che allora sorgeva in piazzale Loreto. In quei tempi però c’erano soltanto le foto in bianco e nero, e nemmeno la possibilità di teletrasmetterle. Oggi invece ci sono le immagini a colori, i telefoni cellulari con videocamera incorporata, e una rete televisiva divenuta già da tempo planetaria. Perciò chiunque in ogni parte del mondo ha immediatamente visto il linciaggio di Gheddafy come se ne fosse testimone oculare.
Veniamo ad ogni modo ora alla dimensione politica della crisi libica, ovvero al vaso di Pandora che è stato aperto con l’improvvida entrata in scena della Nato; e che adesso sarà più che mai difficile richiudere. Dopo che, escluso qualsiasi tentativo di facilitare la fine non cruenta del regime di Gheddafy, con l’intervento militare si sono invece evocati i dèmoni delle feroci rivalità storiche fra Tripolitania e Cirenaica, e fra le varie tribù e clan, gli appelli del francesce Sarkozy e dell’inglese Cameron al perdono e alla riconciliazione stanno a metà tra la farsa e la tragedia. I massacri e le stragi dei vinti sono già cominciati, e dureranno a lungo diventando seme di faide successive. C’è poi e ci sarà la tragedia nella tragedia dei cosiddetti “mercenari africani” che Gheddafy reclutava fra i libici neri discendenti di schiavi, una minoranza discriminata per la quale tale arruolamento aveva costituito un’inattesa e irresistibile via d’uscita da una condizione da “paria”. A costoro si era poi aggiunto anche un certo numero di immigrati recenti dall’Africa sub-sahariana originariamente diretti in Europa ma rimasti bloccati in Libia. Gli uni e gli altri sono le prime vittime designate delle vendette dei vincitori. Per non dire poi della tribù cui apparteneva Gheddafy, attestata nella città di Sirte e nel suo territorio, eccetera, eccetera. Le immagini del linciaggio e dell’assassinio del colonnello hanno fatto il giro del mondo, ma non si fatica immaginare quanti episodi analoghi sono accaduti e accadranno per così dire “a telefonini spenti”. Per essendo chiaro che quanto è accaduto ha reso tutto più difficile, la carta che ora si può tentare è quella di un’immediata conferenza nazionale di pacificazione sotto l’ègida dell’Onu ma con una partecipazione specifica del nostro Paese, oltre a quella inevitabile di Francia e Imghilterra. Dalla nostra parte abbiamo il fatto di essere il primo partner economico della Libia: un ruolo consolidato da ingenti investimenti in loco nonché dal gasdotto trans-mediterraneo che collega direttamente i giacimenti libici di idrocarburi con il nostro Paese. Se ben gestito, il processo di verifica e di aggiornamento delle condizioni del cruciale interscambio italo-libico può diventare uno strumento di pacificazione concordata più efficace delle alchimie diplomatiche di potenze che non sono altrettanto presenti sulla ribalta dell’economia e della società della Libia.